Solitamente gli scultori avevano un di­segno nella mente. Anche laddove per mancanza di documenti non è chiaro il messaggio, l’intenzione di narrare un fatto è evidente. Che cosa dunque vo­leva raffigurare Basilio o il suo colla­boratore quando scolpì i cavalieri alla conquista del castello?
Stando all’analoga scena sulla Porta della Pescheria del Duomo di Mode­na (la cui interpretazione è certa gra­zie alle didascalie) dovremmo dire che l’artista barese voleva narrare la leg­genda dei cavalieri della Tavola Ro­tonda. Le differenze fra Bari e Modena sono molte, tuttavia è innegabile l’ana­logia della concezione di quest’ope­ra d’arte. Soprattutto il movimento dei cavalieri che convergono all’assalto al castello è identico. Sulla Porta dei Le­oni sono quattro a destra e quattro a sinistra, mentre sulla Porta della Pe­scheria sono tre a sinistra (Isdernus, Artus de Bretani e Burmaltus) e tre a destra (Galvaginus, Galvarium e Che). Contro i cavalieri a Modena escono un soldato a piedi (sulla sini­stra) ed un cavaliere sulla destra (Cor­rado). A Bari invece i difensori sono due per parte ed escono coraggiosa­mente contro i cavalieri.
A Modena l’episodio non lascia dubbi. Si tratta dell’attacco dei cavalieri della Tavola Rotonda per liberare la prigio­niera Winlogee Ginevra visibile tra le mura, mentre Mardoc Mordred, (il ra­pitore) è impaurito. Nella torre del ca­stello “barese” si vede invece un uomo che suona il lungo corno, mentre l’al­tra persona è troppo danneggiata per distinguere se si tratti di un uomo o di una donna.
A Modena i nomi dei cavalieri sono in­cisi come una didascalia, mentre i ca­valieri baresi appaiono anonimi.
Che anche il Portale dei Leoni possa rappresentare il ciclo di Artù non è del tutto da escludere, visto che il personag­gio della leggenda si ritrova nel pavi­mento musivo della Cattedrale di Otranto (1163-1165). Tuttavia, prima di acco­gliere questa ipotesi è opportuno pren­dere in considerazione alcune date.
Nel suo lavoro sulla Porta della Pe­scheria di Modena, Chiara Frugoni parla dei primi decenni del XII seco­lo: La critica ormai concordemen­te ritiene che il rilievo sia stato ese­guito entro i primi decenni del XII secolo, forse addirittura prima del­la fortunata formalizzazione letteraria del ciclo arturiano nell’Histo­ria Regum Britanniae (1135-1140) di Goffredo di Monmouth.
Ora, se la leggenda di Artù coinci­desse cronologicamente con la sua nascita letteraria, dovremmo comin­ciare col 1135, data della “Storia dei Re di Bretagna”. È vero che già nel 1125 Guglielmo di Malmesbury ne aveva parlato nella sua Gesta dei Re d’Inghilterra, ma ne aveva parlato in modo sobrio, senza farne un eroe da leggenda. Invece col Monmouth la “storia” di Artù fece il giro del mon­do (almeno a giudicare dai 200 mano­scritti pervenutici).
 
Il punto però è questo: prima del Mal­mesbury (1125) e soprattutto del Mon­mouth (1135) le gesta di Artù erano conosciute e dove? Sembrerebbe che già prima i trovatori ne cantassero le gesta nelle ballate, come attestano sia il Malmesbury sia Robert Wace, il poeta normanno, autore anche di una vita di S. Nicola in versi. Ma, se an­che tali ballate si diffusero oralmen­te nel primo ventennio del XII seco­lo, avevano raggiunto in quel periodo anche l’Italia Meridionale? Non è im­possibile, essendo i Normanni giun­ti sino nel mezzogiorno, ma è anche probabile, oppure le probabilità pro­pendono verso altre soluzioni?