Paviementi e mosaici

Retaggio forse della civiltà bizantina, il mosaico costituì nella Puglia dell’XI secolo la forma più comune di pavimentazione delle chiese. Recentemente sono stati scoperti quelli bellissimi di Bitonto e di Giovinazzo. Nella Puglia del tempo prevaleva il mosaico geometrico rispetto a quello figurativo (importante eccezione il bellissimo pavimento musivo della cattedrale di Otranto, ove sono raffigurate le fatiche umane nel corso dei dodici mesi dell’anno).
È difficile dire quanto spazio pavimentale della Basilica fosse originariamente a mosaico. Tracce rinvenute qua e là, specie in prossimità della base delle colonne, farebbero pensare che l’opus tessellatum non era stato impiegato solo nelle aree absidali della Basilica superiore e della cripta, ma anche in altre zone. L’eccezione più vistosa è quella dinanzi alla cappella che costituisce l’atrio della sacrestia inferiore.
Il mosaico della Basilica superiore di S. Nicola costeggia il muro absidale con una fascia in cui si ripete un motivo ornamentale. Alcuni hanno ipotizzato che questo motivo ornamentale sarebbe in realtà la ripetizione del monogramma di Allah (Allah è grande) scrit­to in caratteri cufici. A parte la bella fascia decorativa intorno alla cattedra dell’abate Elia, va rilevata la composizione del grifo alato (motivo frequente nel simbolismo medioevale) all’interno di una piastra circolare. Costeg­gia­no l’altare maggiore cinque dischi doppiamente concentrici e tangenti fra loro, con il secondo ed il quarto interrotti dalle basi delle colonne del ciborio, evidentemente di datazione posteriore rispetto al mosaico.
Alquanto diverso è il mosaico della cripta, che presenta meno compattezza e più varietà geometrica. Stelle esagonali ed ottagonali su fondi circolari sono staccate da altre fasce ornamentali musive mediante lunghe strisce di marmo bianco. Tali strisce marmoree (quasi inesistenti nel mosaico superiore) si ritrovano anche in forme circolari che configurano mirabili intrecci.
Sia che fosse a mosaico, oppure a “chianche” o lastre di marmo, certamente tutta la restante pavimentazione superiore ed inferiore doveva essere molto bella se i sovrani angioini si preoccuparono che non venisse danneggiata. Così, ad esempio, per non rovinare i pavimenti (ma anche per non mettere a repentaglio la statica della chiesa), Roberto d’Angiò proibì nel 1341 di praticare sepolture sotto i pavimenti, esortando ad utilizzare invece le arcate. In questo tempo doveva già essere avvenuta la sostituzione del pavimento musivo con basole calcaree che restarono sino al 1543, allorché il capitolo decise di rinnovare il pavimento. L’o­pera, avviata con qualche incertezza, ebbe una notevole spinta da parte della regina Bona Sforza. Nell’agosto del 1545 il maestro napoletano Luca Judice portò i mattoni di vario colore, che furono posti con notevole celerità se già l’anno dopo il pavimento era finito: Tempore prioratus Domini Francisci Caraccioli hoc pavimentum factum fuit anno 1546. Quello della cripta fu rifatto a seguito di una inondazione nel 1599.
Oggi la pavimentazione nella Basilica superiore è costituita da grandi lastre marmoree bicrome, formanti tutta una serie di motivi geometrici ed architettonici. Ad esempio, in corrispondenza dei portali, strisce nere sembrano proiettare l’ombra del vano. Qua e là vi sono lastre tombali, come quella di Bartolomeo Carducci (1572) nella navata destra e quella di Roberto da Bari (1742) nella navata sinistra.
Quanto al pavimento della cripta sembra che fosse stato rifatto sul finire del XIX secolo, e precisamente a seguito della visita nel 1892 del futuro zar di Russia, Nicola II; ma rientrò nuovamente nei programmi di restauro del 1953-57 dell’architetto Schettini. Questi, dopo aver rinforzato il sottosuolo, abbassò il pavimento al suo originale piano di calpestio.