La cattedra di Elia

Il vertice dell’arte si raggiunge in S. Nicola con il trono episcopale dietro al ciborio, noto come cattedra dell’abate Elia. Sviluppando l’antico motivo bizantino rilevabile nelle cattedre di Massimiano a Ravenna, di Romualdus a Canosa, nonché in quella di Montesantangelo, il maestro della cattedra di Elia rileva una superiore maturità artistica ed un forte senso plastico. All’elemento decorativo della cattedra di Montesantangelo e alla struttura architettonica di quella di Canosa fa qui riscontro una corporeità energica ed espressiva, non più schiacciata e piatta ma densa e dinamica.
Il documento classico che la concerne è un brano della cronaca dell’Anonimo Barese (1120 c.): Anno 1098. Al mattino del tre ottobre venne il papa Urbano II con molti arcivescovi, vescovi, abati e conti. Entrarono in Bari e furono accolti con grande riverenza. Mons. Elia, nostro arcivescovo, preparò una cattedra meravigliosa (mirificam sedem) nella chiesa del beatissimo Nicola, confessore di Cristo. E il papa tenne qui un sinodo per una settimana. Come al solito l’Anonimo, che presenta un elevato grado di affidabilità storica, usa un latino che fa i primi passi verso l’italiano e adotta il calendario bizantino che faceva cominciare l’anno al 1° settembre (e quindi ha 1099).
La parte superiore, retta da cinque pilastrini riflette ancora chiaramente la civiltà bizantina da poco tramontata. In una serie di losanghe nella fascia centrale sono scolpiti un grifo alato, un leone, un pellicano, un vitello ed un’aquila araldica. A questo ricordo del passato espresso nella parte superiore fa riscontro una ricerca del nuovo nella parte inferiore. Le tre cariatidi anteriori e le due leonesse posteriori esprimono l’energia e l’entusiasmo della nuova era, quella normanna. Le due figure laterali sembrano schiavi saraceni che finalmente si piegano alla riconquista normanna e cristiana. I loro volti sono ispirati ad un verismo spontaneo e i loro corpi alla densità dei volumi. Ciò nonostante, l’artista ha voluto rendere lo sforzo che essi stanno facendo, puntellando le ginocchia a terra, piegando le spalle, schiacciando a terra i piedi. Alla loro tensione fa da contrasto la serenità fiduciosa della figura centrale, forse un pellegrino che ora vede spianata e senza pericoli la sua strada verso Gerusalemme. 
La maturità stilistica e l’eccezionale verismo, specie se raffrontato al quasi coevo Wiligelmo da Modena, ha spinto alcuni storici dell’arte a datare questo capolavoro a qualche decennio più tardi. Mentre lo Schultz, il Wackernagel e il Porter mantengono la datazione tradizionale (1098), altri storici, come il Toesca, il De Francovich e la Belli D’Elia collocano la cattedra di Elia nel XII secolo, successivamente quindi alle prime esperienze lombarde. A loro avviso, la mirificam sedem dell’Anonimo Barese non era l’attuale cattedra ma un trono in legno con meravigliose ornamentazioni. Ma Cesare Brandi fa notare che spostare la datazione di qualche decennio non risolve il problema di questo unicum. Ed io aggiungo che tale posticipazione non tiene conto della sobrietà dell’Anonimo, che difficilmente avrebbe menzionato una cattedra di legno in un testo estremamente conciso.
Sulle due fasce laterali e le due retrostanti corre questa iscrizione: Inclitus atque bonus se­det hac in sede patronus presul barinus Helias et canusinus (Su questo trono siede l’inclito e buon patrono Elia, vescovo di Bari e di Canosa). Iscrizione che indicava, fra l’altro, come Elia avesse invertito il rapporto fra Canosa e Bari, con la menzione di Bari prima dell’antica sede di Canosa, della quale raccoglieva quindi l’eredità primaziale. Con ogni probabilità si tratta di un’iscrizione commemorativa apposta dall’abate Eustazio nel 1105, all’epoca cioè dell’epigrafe del sarcofago d’Elia.
Suggestive sono le descrizioni della Belli d’Elia, che è tornata più volte sull’argomento. Questa studiosa considera la cattedra realizzata non per Elia, ma in memoria, in onore del grande fondatore e costruttore della Basilica, per affermare nel tempo la sua ideale presenza nel tempio. Giustamente essa vede nella cattedra il significato di un documento ideale dei diritti vescovili accampati dalla Basilica in nome di Elia: Questo il messaggio fondamentale affidato al prezioso oggetto, cui l’apparato figurativo doveva fare da cassa di risonanza. In realtà, attraverso le forme fortemente plastiche ed espressive degli schiavi schiacciati da quel trono che sembrano reggere, divincolandosi sotto il suo peso, e delle leonesse che, sovrastate dal sedile, azzannano, a tergo, due vittime urlanti, noi tentiamo di entrare in contatto, al di là dei secoli, con lo sconosciuto autore, che probabilmente si è ritratto nella piccola figura che sembra sostenere il sedile, rivolgendo idealmente lo sguardo in atteggiamento supplice verso il personaggio su di esso insediato.
Il capolavoro barese rivela una grande singolarità rispetto all’arte aquitanica e a Wiligelmo. Mentre quest’ultimo, infatti, tende a dare compattezza alla scultura e ad iscriverla su di un fondo, il Maestro di Elia predilige la densità dei volumi e la libertà dei movimenti, in un’atmosfera di spontaneo verismo espressivo. In considerazione di questa originalità e pugliesità dell’opera, spostarne la datazione, anche di un secolo, non aiuta a risolvere il problema dei rapporti con le altre esperienze artistiche.