La Porta dei Leoni è un’opera di grande ricchezza espressiva, caratterizzata, specie se la si confronta con analoghe porte della stessa epoca (ad esempio a Modena, Pavia, Angoulème), da un grande arco aggettante che sovrasta non solo l’archivolto, ma tutto l’insieme. Il fogliame della decorazione di questo arco è rivelatore di un aspetto che
si manifesterà in altri particolari. Vale a dire che, nonostante le grandi distanze geografiche, questi portali presentano analogie che non possono essere considerate casuali. Le foglie dell’arco nicolaiano, ad esempio, sono perfettamente uguali (persino per l’incorniciatura) a quelle sul portale di S. Michele a Pavia. In altri termini, l’esperienza bizantina acquisita a Bari, nella Basilica di S. Nicola rivela altre due componenti fondamentali, quella longobarda e quella francese per il tramite dei Normanni.
Tutta la parte sottostante al grande arco aggettante e che lo spettatore non vede (a meno che non salga le scale e guardi in alto), tradisce uno stile bizantino decisamente più marcato che nelle altre parti dell’opera. Lo scultore che l’ha realizzata doveva essere ispirato ad un mondo simbolico in cui gli animali esprimono il grande mistero dell’uomo. Qui, motivi umani e motivi animali sono intrecciati mirabilmente secondo una visione poco dinamica, ma particolarmente sensibile all’estetica.
Sotto l’arco aggettante, che frontalmente presenta una teoria di palme incorniciate alternate da pigne, si snodano animali e mostri di fantasia. Essi si muovono come attraverso un tunnel o un passaggio stretto che li costringe a piegarsi, senza rinunciare però ad azzannare le palme ivi disseminate o altra preda. Cominciando dalla sinistra, dopo alcune raffigurazioni ispirate dal fogliame ecco emergere uno strano uccello dalle ali racchiuse attorno al corpo e con la testa umana (fig. 2). Il volto è grave. Quasi inespressivo. Una corona in testa farebbe pensare ad un re. La testa è incuneata fra lunghe palme, come lunghe palme costeggiano il corpo dell’uccello successivo. Questo però non se ne sta fermo. Benché impacciato, storcendo la testa verso l’alto, addenta le palme stesse. A poca distanza dalla sua testa, dall’altro lato, si sta avventando un drago il cui corpo coperto di squame ricorda il corpo del coccodrillo, ma sinuoso e attorcigliato come un serpente. Che si stia avventando contro l’uccello di prima è però solo un’illusione ottica. A guardar bene, infatti, tra la testa dell’uccello precedente e le fauci della testa canina del drago ci sono palme e frutti che vengono azzannati.
Dietro il drago sta arrivando un altro uccello, ma il corpo sembra di un cane. Anche questo strano animale gira la testa verso l’alto, come l’uccello della parte sinistra. La sua coda è alquanto intrecciata al fogliame, per cui è difficile dire se il leone alato dalla testa d’uccello che sopraggiunge da sotto sta azzannando la coda o qualche frutto. Quindi, nella parte sottostante, vengono sculture meno nitide, forse raffigurazioni perdute.
Peccato che questo mondo fantastico sia destinato ad essere poco fruibile dal visitatore. Ed è anche difficile dire se l’artista abbia voluto soltanto sbizzarrirsi in una serie di figure, delle quali nessuna costituisce una sola realtà (ognuna infatti è composta sempre di due e talvolta tre animali diversi), oppure volesse lanciare un messaggio che noi oggi non riusciamo a percepire.
si manifesterà in altri particolari. Vale a dire che, nonostante le grandi distanze geografiche, questi portali presentano analogie che non possono essere considerate casuali. Le foglie dell’arco nicolaiano, ad esempio, sono perfettamente uguali (persino per l’incorniciatura) a quelle sul portale di S. Michele a Pavia. In altri termini, l’esperienza bizantina acquisita a Bari, nella Basilica di S. Nicola rivela altre due componenti fondamentali, quella longobarda e quella francese per il tramite dei Normanni.
Tutta la parte sottostante al grande arco aggettante e che lo spettatore non vede (a meno che non salga le scale e guardi in alto), tradisce uno stile bizantino decisamente più marcato che nelle altre parti dell’opera. Lo scultore che l’ha realizzata doveva essere ispirato ad un mondo simbolico in cui gli animali esprimono il grande mistero dell’uomo. Qui, motivi umani e motivi animali sono intrecciati mirabilmente secondo una visione poco dinamica, ma particolarmente sensibile all’estetica.
Sotto l’arco aggettante, che frontalmente presenta una teoria di palme incorniciate alternate da pigne, si snodano animali e mostri di fantasia. Essi si muovono come attraverso un tunnel o un passaggio stretto che li costringe a piegarsi, senza rinunciare però ad azzannare le palme ivi disseminate o altra preda. Cominciando dalla sinistra, dopo alcune raffigurazioni ispirate dal fogliame ecco emergere uno strano uccello dalle ali racchiuse attorno al corpo e con la testa umana (fig. 2). Il volto è grave. Quasi inespressivo. Una corona in testa farebbe pensare ad un re. La testa è incuneata fra lunghe palme, come lunghe palme costeggiano il corpo dell’uccello successivo. Questo però non se ne sta fermo. Benché impacciato, storcendo la testa verso l’alto, addenta le palme stesse. A poca distanza dalla sua testa, dall’altro lato, si sta avventando un drago il cui corpo coperto di squame ricorda il corpo del coccodrillo, ma sinuoso e attorcigliato come un serpente. Che si stia avventando contro l’uccello di prima è però solo un’illusione ottica. A guardar bene, infatti, tra la testa dell’uccello precedente e le fauci della testa canina del drago ci sono palme e frutti che vengono azzannati.
Dietro il drago sta arrivando un altro uccello, ma il corpo sembra di un cane. Anche questo strano animale gira la testa verso l’alto, come l’uccello della parte sinistra. La sua coda è alquanto intrecciata al fogliame, per cui è difficile dire se il leone alato dalla testa d’uccello che sopraggiunge da sotto sta azzannando la coda o qualche frutto. Quindi, nella parte sottostante, vengono sculture meno nitide, forse raffigurazioni perdute.
Peccato che questo mondo fantastico sia destinato ad essere poco fruibile dal visitatore. Ed è anche difficile dire se l’artista abbia voluto soltanto sbizzarrirsi in una serie di figure, delle quali nessuna costituisce una sola realtà (ognuna infatti è composta sempre di due e talvolta tre animali diversi), oppure volesse lanciare un messaggio che noi oggi non riusciamo a percepire.