I "Misteri" di San Gregorio

LA PROCESSIONE DEI MISTERI DI SAN GREGORIO: ORIGINI  E CONTENUTI
 
Ciambèlle ciambèlle - taralle e'  zùcchere urla il venditore di taralli e ciambelle ammassati sul  suo   carretto sgangherato; a ridosso, il triciclo dei palloncini colorati, seguiti nel loro movimento nell'aria tiepida di primavera dai bambini  con il naso all'insù: qua dietro c'è aria di attesa festosa, si sente l'approssimarsi della Pasqua;  più avanti,  invece, c'è aria di forte, compresa partecipazione alla descrizione della passione di Cristo, la processione dei misteri, li sànde, come li chiamiamo noi. Il passaggio delle statue,  avvolto nei  suoni  lenti  delle  marce  funebri delle bande  musicali, crea forte commozione. Sfilano, riportando la descrizione degli evangelisti, la statua di Gesù nell'orto,  quella  di San Pietro, e poi passano Gesù  alla colonna,  Gesù con la canna, Gesù che porta la sua croce; davanti a questo  santo sfila tra gli altri adolescenti anche Checca, il figlio di Angela, con il camice rosso, la corona di spine in testa, con il volto insanguinato, con la croce in spalla; poi arrivano  san Giovanni, la Maddalena ed il Calvario, Gesù crocifisso: le emozioni crescono di intensità, una donna  in nero lancia un lamento straziante e, dolendosi per la perdita del figlio ancora giovanissimo, chiede di poter almeno toccare la statua;  le invocazioni aumentano al passaggio di Cristo morto e della Addolorata: da un balcone una  donna giovane  va  supplicando l'aiuto  per il padre  irrimediabilmente malato; sfila l'ultima banda, più dietro incontriamo daccapo   i  venditori di dolci e di palloncini colorati. Checca, il figlio di Angela, non è il solo protagonista della passione: ci sono molte ragazze con l'abito bianco  della  prima  comunione; a molti bambini  le madri hanno imposto l'allestimento dell'angelo che i piccoli, fino a quando la resistenza fisica  li sorregge, vanno mostrando con  compresa fierezza; sono presenti  diversi  guerrieri,  vestiti di tutto punto, nelle loro spade sono infilati dei  taralli sceleppàte, con lo zucchero -la processione è lunga e le forze vanno reintegrate-; in fondo, la statua dell'Addolorata è seguita da  diverse donne vestite  di nero e con il capo coperto da  un  velo nero, in gramaglie come la Madre. La  descrizione della  rappresentazione  drammatica non rende appieno l'atmosfera che si diffonde nelle strade della  città  il Venerdì santo, ma  testimonia quanto avveniva tanti  anni  fa a Bari quando si snodava la processione dei misteri, le statue che ricordano i misteri della  passione di Gesù. Il rito devozionale e  penitenziale,  che  qui  si svolge secondo le particolari consuetudini del  posto, trae  le stesse  origini da  cui  partono tante  manifestazioni analoghe tenute in molti paesi dell'Italia meridionale, dell'Europa meridionale e dell'America latina. Per scoprire le origini di  tali  forme rituali e  per comprendere le ragioni che hanno dato caratteri alloro sviluppo, è necessario riandare indietro nel tempo, al XVI sec., quando, dopo il Concilio di Trento (1545-1563) la Chiesa  cattolica ebbe modo  di reagire alle dottrine del calvinismo e del  luteranesimo e di  effettuare la  riforma cattolica. In ordine  a tale ultimo aspetto, la Chiesa  sentì  in particolare l'esigenza di rimodellare il comportamento religioso di quelle popolazioni insediate nelle aree più arretrate,  ancora dedite a pratiche di magia,  di  superstizioni, di  incantesimi, così lontane da qualsiasi forma di religiosità  popolare con impostazione cristiana. Parve essenziale la necessità di modificare gli usi, eliminare i maghi, le "masciare", i produttori del male, i loro riti, reintroducendo l'ortodossia nella pratica religiosa. Fu intrapresa una sorta di missione evangelizzatrice, promuovendo incontri, prediche, nel corso dei quali venivano arginati gli atteggiamenti non  regolari ed al tempo stesso si provvedeva ad orientare verso una  connotazione cristiana le originarie tradizioni e  manifestazioni rituali,  ancora  molto sentite da  quelle popolazioni  e  per  questo non  osteggiate. Le nuove missioni inserirono nei loro compiti anche la divulgazione di attività devozionali e penitenziali, affidate in particolare a  compagnie  di praticanti cristiani, le congregazioni e le confraternite, che nei loro statuti ne fissarono  le regole e le modalità di attuazione. Specie nel periodo quaresimale, tali pratiche  erano svolte in for­ ma individuale o collettiva e tenute nei locali delle associazioni oppure all'esterno, in  processioni  regolate  con puntigliosa accuratezza e davvero composte. Rifacendosi al culto  della passione di Gesù, le attività avevano diverse connotazioni: i digiuni, le umiliazioni, le sofferenze fisiche. Alle processioni partecipavano, oltre alle confraternite, persone che interpretavano con serietà  i misteri,  i  bambini e gli adulti, i nobili e gli uomini del popolo,  il clero, i militari, tutti, e tutti compresi  in  tangibile  contrizione, manifestata collettivamente. Con l'andar del tempo le manifesta zioni e le esibizioni dei penitenti si fecero, però, sempre più ostentate, più spinte,  la partecipazione della  gente divenne sempre  più libera, meno controllata:  nella  processione sfilavano  i simboli  sacri,  ma  anche  raccoglitori con libri dai contenuti osceni; alla manifestazione, ormai teatralizzata, prendevano parte penitenti impegnati tra di loro in competizioni nel procurarsi angherie, ferite, tumefazioni con vari strumenti ferrati. La situazione, ormai caratterizzata da rappresentazioni che a fatica si raccordavano al messaggio evangelico, indusse la Chiesa ad intervenire con le opportune modifiche tese a ripristinare le condizioni per un coinvolgimento emotivo. Furono eliminati gli attori che con le loro performance riducevano le scene dei misteri a manifestazioni ridicole. A  riprodurre i personaggi  e le ultime fasi della  passione, nelle processioni furono introdotte statue o gruppi di statue che, scortate o seguite da personaggi viventi, adulti e piccoli, divennero il modello  di raffigurazione più  diffuso  e più  coinvolgente.
Già alla fine del Settecento la rappresentazione del Venerdì Santo,  a Bari, come in molti centri pugliesi, cominciò ad assumere grande rilievo. Allestite con molte statue ed un nutrito numero di personaggi viventi,  erano due le processioni dei misteri che attraversavano la città: una, affidata ad una confraternita mariana,  di contadini ed operai,  prendeva avvio  dalla  chiesa della   Purificazione  di  Maria,   detta  della Vallisa; l'altra, curata dai frati minori  del  convento di  san  Pietro  alle Fosse,  iniziava   dalla  chiesa  conventuale e, quando nel1812 il convento fu chiuso, dalla chiesa di san Gregorio. Le statue settecentesche, di ottima fattura,  quasi  tutte  avvolte  in  vestiari,  erano rette a spalla dai portatori, uomini  del popolo, vestiti alcuni con abito scuro, altri con camici e mozzette, tutti  perfettamente compresi  nel loro compito, definito  con assoluta  partecipazione e devozione. Fatalmente tra le due congregazioni nacque la rivalità che, all'inizio,  velata,  con l'andare del  tempo  divenne sempre più  rischiosa, fino  a trasformare il rito della Passione in accesi odiosi alterchi,  ogni  volta  che le due processioni si ritrovavano vicine. La  circostanza indusse  l'arcivescovo Michele Basilio Clary, a decidere, nel 1825, che  le due  processioni si effettuassero ad anni alterni: la Vallisa negli anni  pari,  san  Gregorio in quelli  di­ spari.  E tale disposizione rimane  ancora, con le due congregazioni sempre impegnate a realizzare la propria  processione con i migliori risultati, in una competizione che  per  fortuna va  diventando ragionevolmente sana.
Ed oggi? Oggi i portatori, incorporati nelle rispettive  Unioni, le congregazioni,   continuano  con  orgoglio a conservare il posto di protagonista, la stanga (asse  di  legno  che sostiene la base sulla quale è fissata la statua  ma che in senso figurato esprime l'onore  di  portare  in  processione il mistero), che gelosamente viene  passata di famigliare  in famigliare nel rispetto di una tradizione puntigliosamente mantenuta, tanto  che  l'abbandono  della stanga e cioè del posto  privilegiato di portatore viene considerata una grossa perdita. Con il passare  degli anni la processione ha subito  diverse modificazioni: mancano le adolescenti vestite di bianco; gli eredi di Checco, i piccoli calvari,  gli angeli, i guerrieri si sono drasticamente ridotti  di numero, nessuna  donna ormai  veste di nero e segue la Addolorata; in fondo  alla processione sono pure scomparsi i vendi­ tori di taralli,  a fatica resistono i palloncini colorati. Resta comunque sem­pre forte la partecipazione della gente: la sera, sul corso della città, il dondolio delle statue sormonta le ali di una folla che, tanto pigiata, a stento lascia scorrere la rappresentazione. Scantonata la grande  calca, accompagnata dai suoni  lenti e stanchi delle bande,  la processione si avvia, a tarda  sera, in chiesa: rientrano le statue, i misteri dolorosi: il Cristo  in adorazione nell'orto  (ricordato nel Vangelo di Marco 14,32), san Pietro con il gallo (Mc 14,66-68), Gesù flagellato (Mc 15,15),  Gesù  con  una canna  (Mc 15,16),  Gesù che  porta  la croce  (Mc 15,20),  san  Giovanni (Gv 19,26-27), la Maddalena e Gesù crocifisso  (Gv 19,17-18), Gesù  morto (Gv 19,20), la Madonna Addolorata  (Gv 19,25). A questo punto  viene da chiedersi: ma  tutto  quanto oggi  avviene  il  Venerdì  Santo,  ha  qualcosa  in  comune  con la pratica devozionale additata dai predicatori impegnati  nelle  missioni post-conciliari? Oggi  come  sempre,  tutto  è legato  ai modelli dei tempi:  nell'era  del  digitale, della telefonia mobile, della televisione soltanto assetata  di share  ed  inquinata    irrimediabilmente   dai numerosi  reality,  è  già  tanto   riscontrare  in alcuni  la volontà  di evitare   che  si  disperdano  tradizioni,  e  di  annotare  che,  sotto sotto, la religiosità popolare esprime ancora elementi di fede autentica, convinta.
Calogero Dentamaro e Michele Cassano