Il dibattito sul futuro assetto

Alla morte del Savinetti nessuno pensò a designare il successore. Fu invece nominato vicario capitolare mons. Carmine De Palma, il più preparato culturalmente fra i canonici. Questi, in data 2 settembre 1946 rendeva noto un Promemoria sullo stato attuale e le necessità della Basilica di S. Nicola in Bari.
Dopo alcuni cenni sulle vicende storiche dell’insigne Basilica, l’autore passava alla legislazione eversiva dei governi demoliberali. A suo avviso, la conclusione della gestione laica della Basilica, fu che  il culto andò degradando dall’antico splendore. L’Ospizio era stato trasformato in Scuola d’Arte e Mestieri e solo locali indecenti riservati ai pii romei. La Commissione mista concordataria fu chiamata ad applicare l’art. 29 dei Patti Lateranensi, ma si limitò ai criteri economici (assegnando alla Basilica lire 251.811). Era arrivato il momento, egli diceva, di adottare provvedimenti riparatori che riportassero la Basilica ai livelli che meritava. Per conseguire tale scopo era necessario che si reintegrasse il Capitolo delle perdite provocate dal minor reddito dei censi e dei titoli di stato, che si sospendessero le assegnazioni a favore della Scuola industriale Umberto I e dell’erigendo Ospedale (che fossero sovvenzionati dai rispettivi ministeri), e si ricostituisse il patrimonio delle ex chiese palatine.
    In altri termini il De Palma auspicava un ritorno al periodo antecedente al 1891, con i soldi di S. Nicola da spendersi per il clero e per la chiesa e non per altri scopi. Il Ministero dell’Interno esaminò il pro-memoria e la Direzione Generale dei Culti in data 26 novembre 1946 rispose a firma del direttore generale Cardamone[1]. Questi faceva notare che col Concordato lo Stato aveva rinunciato ai privilegi sulle palatine permettendo che il tutto fosse gestito da una Commissione Mista Concordataria. Inoltre tale Commissione, riunitasi in data 26 aprile 1930, riconobbe  gli oneri di beneficenza delle palatine stesse, oneri tra l’altro che erano stati la condizione affinché i beni rustici (acquistati dall’Opera Nazionale Combattenti) fossero restituiti alla chiesa. Nell’adunanza del 1 giugno 1931, oltre al Nitti, si dichiararono d’accordo anche i due rappresentanti della Santa Sede.
    La complicazione derivante dal fatto che nel 1934 i tassi d’interesse erano passati dal 5 al 3,5 %  non danneggiò solo la Basilica ma tutti gli enti. Se poi i censi erano esigui, si trattava di somme irrilevanti. Di conseguenza la domanda del De Palma veniva respinta.
    Intanto però, nonostante la Fabbriceria, la chiesa non riusciva a realizzare le riparazioni necessarie, per cui il sindaco Vito Antonio Di Cagno prendeva l’iniziativa di scrivere al ministro della Pubblica Istruzione, Guido Gonella. Questi rispondeva che a seguito delle premure del Di Cagno con decreto del 16 maggio 1947 era stato accolto il progetto di risanamento della cripta presentato  dal Provveditore alle opere pubbliche di Bari, tramite la Soprintendenza ai monumenti[2]. Probabilmente però l’iter si rilevava lento, per cui in data 11 giugno 1947 il sindaco scriveva nuovamente al ministro  Gonella, sollecitando una risposta positiva sull’avvio dei lavori. La perizia del Genio Civile parlava di spese che ammontavano a lire 11.580.000. Come monumento nazionale, in base al R. D. L. decreto del 18.5.1931 era il suo ministero competente in ciò.
    Poco a poco dunque dall’approccio ai problemi concreti si faceva strada la consapevolezza che la chiesa da sola non fosse in grado di affrontare e tantomeno risolvere problemi di restauri e opere varie. Il meccanismo cominciava a stabilizzarsi: il De Palma, presidente della Fabbriceria, comunicava al sindaco le esigenze della chiesa; il sindaco scriveva al competente ministero e poi cominciava a sollecitare una risposta positiva. Questo fu ad esempio l’iter che si sviluppò allorché il De Palma in data 27 luglio 1949 scrisse al sindaco sulla riparazione delle campane.
      Intanto però, proprio per questo ruolo che gli veniva riconosciuto come a primo cittadino, il Di Cagno cominciò ad interessarsi anche alla conduzione della Fabbriceria. Anzi, in data 5 maggio 1950 arrivava a scrivere al vicario affinché soprassedesse dal pignorare i mobili  contro alcuni inquilini – altrettanta povera gente che Dio sa come faccia per procurarsi il pane quotidiano.
      Il sindaco dunque si stava convincendo della necessità di dare un nuovo riassetto ecclesiastico alla Basilica, al di là dei problemi di restauro e manutenzione. Approfittando del fatto che Sottosegretario di Stato agli Affari esteri era Aldo Moro, fu a questi che Di Cagno scrisse auspicando un intervento della Santa Sede che desse nuova vitalità e un ben diverso sviluppo del culto nella Basilica. In altri termini si cominciava ad avvertire l’incapacità del Capitolo di ridare splendore alla chiesa di S. Nicola.
     Aldo Moro scrisse allora alla Congregazione concistoriale chiedendo di affrontare con una certa attenzione il problema del riassetto della Basilica sottoposto dal sindaco della città. Tutto ciò si evince dalla risposta di mons. Montini (il futuro papa Paolo VI) a Moro in data 6 luglio 1948.
 
   La Segreteria di Stato di sua Santità, in riferimento al foglio S.S./129, si reca a premura di assicurare S. E. l’On. Aldo Moro, Sottosegretario di Stato al Ministero degli Affari Esteri, di avere sottoposto alla considerazione dell’Em. Card. Raffaello Carlo Rossi, Segretario della Sacra Congregazione Concistoriale, il desiderio espresso dall’Ill.mo signor Sindaco di Bari di vedere convenientemente officiata la Ven. Basilica di S. Nicola in quella città.
La cosa tuttavia è già da qualche tempo allo studio di quella competente S. Congregazione, anche in seguito ad altre segnalazioni, che la medesima Segreteria di Stato ha avuto modo di fare per invito di altre personalità.
 
    Il Moro, in data 12 luglio,  informò il sindaco che ormai l’iter era partito e che la Santa Sede aveva cominciato a studiare il problema relativo  alla officiatura della Basilica di S. Nicola.
     Come dice il Montini, c’erano state altre segnalazioni. Ecco perché fra il 1947 ed il 1949 la Sacra Congregazione concistoriale scriveva con una certa frequenza al vicario. Da un lato si cercava di accontentare i canonici con concessioni  di tipo finanziario, dall’altro si insisteva sempre più su conti e bilanci il più possibile completi. Tale insistenza sulle rendicontazioni fece finalmente aprire gli occhi ai canonici, i quali collegarono la cosa con le voci sempre più insistenti di un riassetto ecclesiastico della Basilica.
     La stampa locale, e specialmente la Gazzetta del Mezzogiorno, cominciò ad intervenire spesso sul problema del riassetto. Il 14 giugno 1949, ad esempio, sulla Gazzetta fu pubblicato un articolo che, dopo aver delineato la storia della crisi a partire dal regio decreto del 29 novembre 1891, e dopo aver ricordato come il Ministero rigettasse le proposte formulate dal De Palma nel 1946, concludeva: La situazione ha raggiunto perciò la fase più acuta della crisi ed una soluzione si impone con particolare urgenza, anche perché l’Anno Santo si avvicina e la Basilica di San Nicola deve ripresentarsi ai cattolici di tutto il mondo nel suo tradizionale decoro. E auspicava che le voci secondo cui la Basilica sarebbe stata affidata ai Benedettini risultassero fondate.
     Francesco Babudri intervenne[4] sottolineando la necessità di una nuova sistemazione che si impone. La Basilica di San Nicola avrebbe dovuto tornare all’antico fastigio e splendore. Occorre, egli scriveva, integrare adeguatamente il Capitolo o affidare il tempio ai benedettini legati ad esso da luminose tradizioni. Il Babudri sostanziava l’auspicio riferendo gli elementi storici benedettini, da Elia ad Eustazio, da Urbano II agli abbates, che a suo avviso erano benedettini aggregati al Capitolo, in ricordo delle benemerenze acquisite dal loro ordine verso la Basilica stessa, fino al priore Piscicelli Taeggi.
     Sullo stesso giornale Alceo Primori[5] sosteneva l’importanza dell’autonomia del clero della Basilica dall’ordinario del luogo, come indispensabile nel suo nuovo ordinamento.A tale scopo era auspicabile Rinnovare il Capitolo con il suo Gran Priore, restituendogli i suoi diritti e gli antichi privilegi. Il tutto da realizzarsi con una certa urgenza in vista dell’imminenza dell’Anno Santo.
 
    La Missione internazionale di Bari era l’oggetto di un altro articolo[6], in cui mentre l’autore si allineava con coloro che affermavano che Lo storico tempio deve riacquistare la sua completa autonomia ed il suo antico splendore, se ne discostava nell’auspicio di una rinascita del capitolo piuttosto che di un affidamento ad una comunità di frati, che comunque sarebbe stata obbediente all’arcivescovo. La spinta ecumenica internazionale della basilica, la rende molto al di là dei confini diocesani. E il papa certamente se ne ricorderà nel corso dell’anno santo.
     Un Gran Priorato Benedettino ridarebbe al Santuario prestigio e funzione universale, affermava  ancora il Giornale d’Italia[7]. Lo reclamiamo benedettino (il Gran Priorato)  perché non sarebbe diversamente possibile la sua completa autonomia, né senza di questa appare attuabile la particolare funzione che i tempi burrascosi affidano alla Basilica in servizio di Dio. Ci si augurava quindi che la Basilica non finisse in commenda dell’Arcivescovado. Cosicché se si ricorresse all’opera di altri religiosi, un simile ripiego conferirebbe agli occhi dell’Oriente quella importanza di vasta portata che a S. Nicola i bisogni della Chiesa comandano che sia attribuita ? Si aggiunga che i Benedettini godono in Oriente un credito sconfinato. Gli stessi scismatici li vedono con simpatia e fiducia.
       Tutte queste voci cominciarono ad allarmare i canonici. Il 1 settembre 1949 il vicario scriveva al card. Adeodato Giovanni Piazza, segretario della Congregazione Concistoriale. Preoccupati per le voci sul nuovo assetto della Basilica, i canonici intendevano  inviare due loro rappresentanti per esprimere i loro desideri.
      Ma ormai la Santa Sede, sia pure con la solita discrezione, aveva avviato la macchina del riassetto. La Sacra Congregazione Concistoriale scrisse al De Palma (24 nov 1949) chiedendo notizie sulla ripartizione del denaro al clero, al culto, alla fabbriceria, alla Schola Cantorum e in quale misura il denaro fosse prelevato dai terreni, censi e titoli.
     Verso la fine del 1949 (o ai primi del 1950) già circolava uno Schema del Decreto di affidamento della Basilica ai Benedettini[8]. Da esso risultava che la Sacra Congregazione Concistoriale si era preoccupata di provvedere di preti la Basilica per un culto decoroso e di ristabilire un contatto con tanti fratelli separati che da terre lontane vengono in pellegrinaggio. E dato che in questo i Benedettini si sono sempre distinti,  la Congregazione ha deciso di affidare al medesimo Ordine la Basilica di S. Nicola. L’abate avrebbe avuto il titolo di Gran Priore e i privilegi degli abati Nullius dioeceseos. Sarebbe stato eletto dal Capitolo monastico, confermato dalla S. Congregazione Concistoriale e benedetto dall’Arcivescovo di Bari. Avrebbero costituito il monastero alcuni edifici come il palazzo priorale e le case attigue. La comunità monastica subentrava pleno jure al capitolo, anche se i canonici potevano continuare a restare al servizio della Basilica; i monaci avrebbero recitato l’ufficio nella cappella delle reliquie, mentre i canonici, che avrebbero obbedito al gran priore, avrebbero continuato a percepire lo stipendio assegnato dalla Commissione mista. Con l’affidamento ai Benedettini sarebbero stati abrogati gli statuti capitolari; alla morte dei canonici i monaci ne avrebbero assunto le funzioni facendo celebrare suffragi. L’amministrazione temporale sarebbe stata affidata all’abate Gran Priore al quale si doveva relazionare sull’intero patrimonio; il comitato feste patronali sarebbe stato scelto dal gran priore (presidenza effettiva) d’intesa con l’arcivescovo (presidenza onoraria); il 9 maggio il gran priore avrebbe invitato l’arcivescovo a celebrare alla presenza della comunità monastica[9].
     Ai primi del 1950 la voce predominante era dunque che la Basilica sarebbe stata affidata ai Benedettini. E tale era la sensazione generale fino all’ottobre del 1950, come risulta da una Memoria a stampa (Bari 1 novembre 1950) e intitolata: A sua Santità il Romano Pontefice Pio papa XII[10].
     I sottoscrittori, rappresentanti l’intera città di Bari in tutti i suoi ceti, ricordavano al pontefice l’importanza che per la cittadinanza rivestiva la Basilica di S. Nicola, da secoli palladio sacro della Città, centro di amore sviscerato, di sacro trasporto e di legittimo vanto sacro.
    La città trepidava sulle sorti di questo vetusto e veneratissimo Santuario. Il problema era reso assillante per la lunga vacanza di sede priorile dopo la morte del Gran Priore mons. Nicola Maria Savinetti, avvenuta il 30 luglio 1945, e porta nel cuore di tutta la cittadinanza barese un vero disagio morale. Venivano poi ricordati i fatti storici e gli impegni arcivescovili a pro della libertà giurisdizionale della Basilica. Come pure i riconoscimenti papali in tal senso fino a Benedetto XV che se ne occupò nel Decreto Concistoriale del 6 dicembre 1919 De ordine a Capitulo et Clero Basilicae Sancti Nicolai barensis servando.
     Lo scrivente ricordava quindi al pontefice una lettera da lui inviata quando era Segretario di stato a nome del pontefice Pio XI, in occasione della notifica da Bari dei festeggiamenti per il XVI centenario della morte di S. Nicola (342-1942). Il futuro Pio XII aveva scritto: Il Sommo pontefice, desiderando che il paterno auspicio abbia pieno compimento, si ripromette che la celebrazione ridesterà possente costì lo spirito di fede, porterà le anime a una comprensione sempre più profonda e salutare del culto dovuto agli eroi delle virtù cristiane e produrrà una corrente spirituale atta a promuovere l’unione dei fratelli dissidenti con la Chiesa cattolica[11]. Veniva quindi specificato che la celebrazione non si tenne a causa della guerra.
     Si invitava quindi il papa a non ispirarsi al caso di Elia, che fu rettore della Basilica ed arcivescovo della città. Un caso unico mai più seguito. Era auspicabile invece che il papa provvedesse la chiesa del suo pastore mantenendola nel suo stato nullius, di dipendenza diretta dalla Santa Sede. Se la Basilica avesse dovuto poi essere affidata ad un ordine religioso, era opportuno ricordare le benemerenze dei Benedettini, e si sarebbe potuto parlare di rinnovazione benedettina.
      Mentre la cittadinanza dava per scontato e accoglieva entusiasticamente l’ipotesi dei Benedettini a S. Nicola, si avviavano a conclusione i contatti della Santa Sede con i Benedettini. E ciò che nessuno aveva preventivato, forse neppure la Santa Sede, si verificò. Il 3 febbraio 1950 l’abate di Noci scrisse al card. Adeodato Piazza comunicando il rifiuto, e motivandolo con le loro conoscenze relative alle aspirazioni ed il modo di procedere della Curia e del Clero verso il Santuario, le quali fanno dubitare di trovare quelle condizioni fondamentali richieste dalla vita monastica per svolgere un’azione di bene nella concordia e nella pace[12]. L’invadenza della curia arcivescovile barese e gli influssi di Commissioni laiche erano visti dai Benedettini come un attentato al loro modo di vivere monastico.
 
 
 
 
 
[1] Cfr. Archivio della Basilica, Novecento, 150.
[2] Gazzetta del Mezzogiorno, 20 agosto 1947  (p. 2): Cronaca della Città: i restauri di S. Nicola a spese dello stato.
[4] Il Giornale d’Italia del 7.6.1949, p. 4.
[5] Giornale d’Italia del 20.7.1949.
[6]  Giornale d’Italia del 5 novembre 1949: La basilica di San Nicola e la conversione dell’Oriente Cristiano.
[7] Il Giornale d’Italia,   9 dicembre 1949.  
[8] Archivio della Basilica, Novecento, 150
[9] Ivi, Lettera concistoriale del 4 marzo 1938.
[10] Ivi.
[11] Ivi, del 7 febbraio 1939, n. 174071.
[12] Ivi.