Dal 1929 alla morte dell'ultimo gran Priore

 Nel mentre a Bari si lavorava al restauro della Basilica, a Roma si tenevano le trattative fra i rappresentanti della Santa Sede e quelli dello stato italiano allo scopo di porre fine alla “questione romana”. La conclusione si ebbe l’11 febbraio del 1929, allorché Benito Mussolini (a nome del re Vittorio Emanuele III) e il card. Gasparri (a nome del papa Pio XI) firmarono il concordato.
     Grazie a questi Patti, lo stato italiano riconosceva di fatto e di diritto alla Santa Sede l’assoluta indipendenza per l’adempimento della sua alta missione nel mondo. A tale scopo essa aveva giurisdizione sovrana sulla Città del Vaticano. La non ingerenza dello stato italiano nella Città del Vaticano era sancita nell’art. 4. Nello stesso contesto vennero liquidati i crediti della Santa Sede verso l’Italia, col versamento al Vaticano di 750 milioni, nonché con la consegna di un miliardo di Consolidato italiano 5%.
     Negli articoli 27 e 29 (lettera G) del Concordato si affrontava anche la questione delle chiese palatine. Nel primo il riferimento è alquanto indiretto, parlandosi dei santuari: Per gli altri santuari, nei quali esistono amministrazioni civili, subentrerà la libera gestione dell’autorità ecclesiastica. Nel secondo il riferimento è più diretto: Lo Stato italiano rinuncia ai privilegi  di esenzione giurisdizionale ecclesiastica del clero palatino in tutta Italia[1]. In particolare, lo stato rinunciava ai privilegi delle chiese palatine, prevedendo una Commissione per la dotazione della chiesa stessa. Si tennero quindi delle adunanze fra il 20 gennaio 1930 e il 5 giugno 1932 al fine di mettere a punto i rapporti fra il clero e la suddetta Commissione.
      Partendo dal fatto che sulle palatine gravavano oneri di beneficenza, furono stralciate somme  per un nuovo grande ospedale (2 milioni) e per la ristrutturazione della Scuola industriale Umberto I. La cosa dispiacque ad alcuni canonici, ma nell’adunanza del 26 aprile 1930 fu fatto notare che questo era un dovere della chiesa, poiché alla corrisponsione di tali contributi era stata subordinata  la restituzione alla Basilica dei beni rustici già trasferiti all’Opera Nazionale Combattenti. Nell’adunanza del 1 giugno 1931, oltre al Nitti, si dichiararono d’accordo anche i due rappresentanti della Santa Sede.
     Con i Patti Lateranensi la Basilica perdeva dunque la sua palatinità. All’applicazione dei Patti fu chiamata una Commissione mista concordataria, la quale evitando di occuparsi degli aspetti liturgici prendeva decisioni del tutto autonome dal capitolo in materia economica. La situazione dei canonici poco a poco si rivelò più che precaria, in quanto il loro stipendio era già fissato, mentre le offerte dei fedeli andavano nella massa comune, dalla quale si prelevavano ingenti somme per la Scuola industriale Umberto I e per l’erigendo Ospedale. Il 13 aprile 1933 la Commissione mista stilò il verbale di consegna che trasferiva gli oggetti cultuali al capitolo dei canonici. Essendo terminati i grandi restauri nel 1934, la Commissione non previde quote al riguardo. E mentre le quote per la scuola e l’ospedale venivano mantenute intatte, non fu presa alcuna risoluzione allorché il fondo per il culto ebbe un duro colpo per il calo sempre nel 1934 dei tassi d’interesse dal 5% al 3,5 %.
    Poco a poco la gestione ecclesiastica (riti, sostituzione di canonici) passò alla Sacra Congregazione del Concilio, che interveniva anche su questioni di minore entità, come quando nel 1935 insistette affinché nel Bollettino non comparisse più la rubrica grazie e miracoli, ai sensi del decreto concistoriale del 7 giugno 1932. Ma sulla questione economica la Commissione mista restava insensibile. I canonici dovettero perciò ricorrere a qualche piccolo sotterfugio, come ad esempio dal 1939 quello di appropriarsi di parte delle offerte dei fedeli.
    Nonostante queste difficoltà il prestigio della Basilica si manteneva alto, grazie al fatto che S. Nicola era un Santo molto venerato in oriente e in occidente. Nel 1936 la settimana “Pro Oriente Christiano” fu tenuta a Bari proprio per la figura del taumaturgo di Mira. L’Associazione romana di S. Nicola portò allora a Bari la lampada uniflamma che, benedetta da Pio XI, cominciò ad ardere nella cripta.
    Anche per creare movimento nel 1939 si annunciò la preparazione dei festeggiamenti per il supposto anniversario della morte di S. Nicola (342-1942), festeggiamenti che poi non si tennero a causa della guerra. Ma in risposta all’annuncio, a nome di Pio XI, il card. Pacelli aveva scritto: Il Sommo pontefice, desiderando che il paterno auspicio abbia pieno compimento, si ripromette che la celebrazione ridesterà possente costì lo spirito di fede, porterà le anime a una comprensione sempre più profonda e salutare del culto dovuto agli eroi delle virtù cristiane e produrrà una corrente spirituale atta a promuovere l’unione dei fratelli dissidenti con la Chiesa cattolica[2].
     Dal punto di vista culturale si distinsero alcuni canonici, e soprattutto Francesco Nitti di Vito che, nonostante tante incombenze, trascrisse e pubblicò oltre 700 pergamene nella raccolta del Codice Diplomatico Barese.
      In data 29 giugno 1940 veniva istituita la Fabbriceria, immediatamente soggetta alla Santa Sede, un Consiglio di amministrazione della chiesa relativamente alle opere di restauro e manutenzione del monumento. La sua sfera d’azione rifletteva la conclusione dell’adunanza adottata dalla Commissione Mista il 23 maggio 1932, vale a dire: limitata alla sola amministrazione ed erogazione dei fondi assegnati per la manutenzione ordinaria e straordinaria delle fabbriche o edifici monumentali con le loro dipendenze, con esclusione da ogni ingerenza nelle spese di culto e nell’amministrazione ed erogazione dei fondi a questi destinati. Nelle dipendenze della Basilica erano compresi le chiese di S. Gregorio, Ognissanti di Valenzano, S. Lorenzo di Casamassima, e S. Maria Immacolata in Noicattaro[3].[4] Era un piccolo passo verso la liberazione dalle ingerenze laicali. Infatti, i quattro membri laici erano presentati dallo stesso gran priore che era membro di diritto.
     Poi venne la guerra, che non poteva aiutare certo a risolvere annosi problemi. Anche la pubblicazione del Bollettino di S. Nicola entrò in crisi. L’11 maggio 1944 si spegneva Francesco Nitti di Vito e  il 30 luglio del 1945 l’ultimo gran priore, mons. Nicola Maria Savinetti da Paduli. Si chiudeva così un’epoca che era stata gloriosa, ma che dal 1891, col subentrare della gestione laica, aveva subìto i contraccolpi della crisi italiana.
 
 
[1] Leonardo Ambrosini, in Bollettino di San Nicola,  1929, I, p. 4.
[2] Cfr. Memoriale A sua Santità, 1 nov 1950.
[3] Bollettino di San Nicola, 1940 dicembre, p. 9. 
[4] Cfr. Archivio della Basilica, Novecento, 150