La cappella del Rosario

     L’inserimento del convento nella nuova provincia di S. Tommaso d’Aquino aveva dato impulso a varie iniziative. Una di queste era stato il tentativo di creare una confraternita. Il primo documento a parlarne risale al 1542, ma qualcosa dovette andare storto perché non sembra che ci fosse alcuno sviluppo nell’iter di fondazione [1]. Maggior impegno misero i frati nel 1580 quando si recarono nuovamente a Roma per riprendere il discorso. Ma anche allora la cosa era andata per le lunghe. Il motivo lo spiegò il maestro generale Paolo Costabile (1580-1582), il quale trovandosi a Napoli scrisse al provinciale di Puglia, Giovanni Antonio di Floriano, che tutte le concessioni per l’istituzione di confraternite erano state sospese, a meno che non si fosse esibita una richiesta in tal senso da parte dell’universitas. In altre parole la confraternita doveva essere espressione dell’interesse della cittadinanza[2]. Nel mese di dicembre del 1585 padre Tommaso, verosimilmente il priore della comunità barese, riceveva una lettera in tal senso da parte del maestro generale[3].
   Naturalmente i frati non avevano aspettato l’istituzione della confraternita per diffondere la devozione del Rosario. Da tempo avevano provveduto a costruire una cappella del Rosario che, come le altre (e forse ancor più) era un centro di aggregazione. Anche le altre cappelle erano importanti punti di riferimento per molti fedeli. Ad esempio nel febbraio del 1623 la signora Angela Verzilli fece una donazione affinché le messe già disposte dal defunto marito (che aveva il beneficio della cappella di S. Giacinto) non fossero a giorni alterni, ma addirittura quotidiane[4].
      L’attaccamento alla cappella del Rosario, soprattutto a partire dai primi del Seicento, era però particolarmente intenso. La gente stava attenta ad ogni mutamento che in essa i padri osavano apportare, tanto che nel 1627 si verificò un incidente che vide i baresi schierarsi su fronti opposti in una dura polemica. La controversia nacque dal dissenso di una parte intorno ad una lapide ivi apposta, che diceva: Sanctissimi Rosarij sacello dotato ornato munificentia Antonij Salvatoris Patris paternae pietatis exemplar sectantes Prudentia et Catharina filias, ac Scipio Cardassi et Joseph Martines conjuges munim.ta posteris relinquentes posuerunt 1627. Nonostante che tra i patrocinatori figurasse un personaggio di rilievo come Scipione Cardassi, venne a formarsi una specie di comitato di opposizione che mise per iscritto le ragioni per cui quella lapide andava eliminata o, al massimo, collocata altrove. Il testo è intitolato appunto:  Ragioni per le quali non si deve mettere il soprad.o epitaffio avanti la cappella del SS. Rosario. Tra le ragioni apportate figurano il mancato pagamento da 13 anni della rata per il beneficio, il dubbio che il suddetto Antonio di Salvatore non avesse rinnovato il beneficio con i soldi suoi, ma della congrega di cui era stato priore, la circostanza che i figli invece di arricchire la cappella l’avevano depauperata, portando via ad esempio anche una bella lampada d’argento. Il particolare del “priore della confraternita” è abbastanza illuminante, perché di simili contese è ricca la documentazione di tutte le confraternite. Per cui non c’è da meravigliarsi neppure del fatto che alcuni confratelli della congrega entrarono in chiesa, alla vista del muratore che stava finendo di incidere alcuni nomi, lo trascinarono fuori mettendosi poi a guastare i nomi incisi[5].
     Anche se il D’Addosio non riporta il nome della chiesa a cui faceva riferimento la confraternita, è chiaro che si tratta di S. Domenico. Infatti, la Visita pastorale dell’arcivescovo  Ascanio Gesualdo del 1622 già parla di una confraternita del Rosario [6], ed è altrettanto vero che un documento del 9 dicembre 1650 conservato nell’Archivio generale dell’ordine a Roma, parlando della confraternita del Rosario a Bari, la dice insediata nella chiesa di S. Domenico [7]: Noveritis nuper pro parte et ad instantia R.R. Fratrum S. Dominici Ordinis Praedicatorum civitatis Barensis, nec non venerabilis  societatis et Confratrum Sanctissimi Rosarii erecti in Ecclesia dictorum Fratrum … .
    Questa situazione era un’anomalia per quel tempo. Infatti, il papa Pio V nel 1569 aveva disposto che le confraternite del Rosario, per essere istituite, necessitavano dell’assenso del maestro generale dei domenicani. Qualche anno dopo, il 1 agosto 1575, il papa Gregorio XIII aveva promulgato una bolla che stabiliva che le confraternite del Rosario non potevano essere istituite in una chiesa diversa laddove c’era una chiesa dei domenicani e solo nelle chiese dei domenicani potevano farsi celebrazioni e preghiere solenni del Rosario. Basandosi su questi due privilegi i domenicani baresi denunciarono alla curia generalizia la situazione di Bari, ove soprattutto nella chiesa di S. Agostino avevano luogo solenni celebrazioni del Rosario con processioni. Il che avveniva col consenso tacito dell’arcivescovo, l’appoggio di parroci e sacerdoti  e soprattutto la protezione del governatore della città, il quale: in huiusmodi ecclesiastica functione sese immiscere non veretur auxilium,  consilium et favorem praebendo contra formam et tenorem literarum Apostolicarum, et in maximum populorum scandalum.
   Nel proibire la solenne recita del rosario nella chiesa di S. Agostino e nelle altre chiese parrocchiali e non parrocchiali, il protonotaio apostolico minaccia di infliggere la multa di 1000 ducati al governatore e a chiunque ostacoli l’esecuzione di questi ordini.
      Che i frati prendessero molto sul serio la loro missione è dimostrato anche dal fatto che a direttore spirituale della Confraternita non mettevano i padri meno preparati, ma quelli impegnati culturalmente. Ad esempio, il 21 aprile del 1691 fu designato quale direttore dell’oratorio della congrega un padre col titolo di predicatore generale, nella persona di P. Bernardo Pepe (che era stato accolto nella comunità barese due anni prima dal più volte menzionato P. Francavilla “maestro e padre della Provincia”). Il 2 aprile del 1693 la nomina veniva rinnovata ad biennium[8].
 
[1] Cfr. AGOP XVI, 241, f. 4r: Pro civitate barensi. Datum transumptum Bullae pro Confraternitate instituenda, instante episcopo barensi, prout in mandato die quinta decembris, visum per rev. D.um Ludovisium de Torres. Cfr. Esposito 1998, 75.
[2] AGOP IV, 42, f. 118r: Revocatae fuerunt omnes licentiae erigendi societates Rosarii concessae in hac provincia a quocumque et relictae solum fuit reverendo patri provinciali, dummodo universitates petant. Cfr. Esposito 1998, 81.
[3] Cappelluti 1991, 185.
[4] D’Addosio, Cassetta 17, f. 59. La cappella di S. Giacinto in S. Domenico di Bari, era stata eretta da Giovanni Stefano Morgigno di Bari (marito di Angela Verzilli) insieme alla sepoltura per se e i suoi eredi. I Padri dovevano celebrare un giorno sì ed uno no, da pagarsi dal censo di un trappeto, secondo l’istrumento di Gio. Batt. Bonazzi. Nel febbraio 1623 Angela Verzilli aumentava l’introito ai Padri, facendo celebrare quotidianamente.
[5] D’Addosio, Cassetta 17, 1.
[6] Archivio Arcivescovile di Bari, Fondo Visite Pastorali, busta 5, fasc. 1. Cfr. Liana Bertoldi Lenoci, Le confraternite postridentine nell’Archidiocesi di bari, Ed. Levante, Bari  1983, p. 154.
[7] AGOP XIV, Liber HHH pt., 1ª, f. 393v-394 r-v. Il documento in questione è edito in Maria Grazia Del Fuoco, Itinerari, pp. 99-101. La studiosa però incappa qui in una svista proprio sul nostro argomento. Nel regesto iniziale afferma: La confraternita del Rosario, sorta presso la chiesa di S. Martino, viene trasferita, con permesso apostolico, presso la chiesa dei Domenicani. In realtà, la chiesa di S. Martino di cui parla il documento non è quella di Bari, ma quella di Scala, il cui vescovo il 1 agosto 1575 è invitato dal papa  Gregorio XIII a trasferire la suddetta confraternita nella chiesa dei domenicani di Scala. Il documento fu esibito dai domenicani di Bari proprio perché contiene  disposizioni relative alle solenni cerimonie del Rosario che non possono organizzarsi se non nelle chiese dei domenicani.
[8] AGOP IV, 44, 183, f. 11 e 191, f. 88v. Esposito 1998, p. 100.