La cultura: Minerva, francavilla e ruffo

A parte gli svariati problemi solitamente presenti in ogni comunità, nella prima metà del XVII secolo anche il livello culturale sembrò elevarsi.
    Tre frati furono particolarmente attivi: P. Tommaso, P. Bernardo e soprattutto Paolo Minerva. Il primo, P. Tommaso, fu scelto dal capitolo generale del 1647 quale primo lettore del nuovo studio della Provincia di Puglia eretto a Foggia. Quello stesso anno il P. Bernardo veniva designato quale “lettore biblico”  nello studio di Andria [1].Un discorso a parte merita poi fra Paolo Minerva.
   Scrittore brillante ed attento agli aspetti apologetici della religione, Paolo Minerva era nato a Bari nel 1560 o 1561 da Bartolomeo Minerva  e Angela Mutascio[2]. Rimasto orfano, il piccolo Nicolantonio (tale il nome di battesimo), visse all’ombra del fratello maggiore  Gian Lorenzo. Stava facendo gli studi a Napoli quando, a quindici anni, entrò nel convento di S. Domenico Maggiore ove emise la professione. Dovette mostrare notevoli capacità se i superiori ben presto lo mandarono a completare gli studi a Bologna e se già nel 1582 a milano divenne consultore della locale inquisizione.  Incline alla musica e alla poesia, oltre che alle lingue orientali, fu eletto priore in alcuni conventi (come Cercemaggiore e al Rosario di Napoli) e nel 1600 tenne a Napoli l’elogio funebre del maestro generale Ippolito Beccaria. L’anno dopo veniva eletto provinciale della provincia Regni. Oltre che alla rinascita degli studi si dedicò anche alla sistemazione dei conventi, come la costruzione a Napoli del convento di S. Caterina da Siena. Morì a Napoli il 7 marzo 1645.
    Egli fu certamente il domenicano barese più illustre, anche se la sua presenza a Bari fu piuttosto sporadica. Sia il Valle (suo contemporaneo) che il Garruba ricordano alcune delle sue opere che allora godettero una certa notorietà. La prima opera di una certa importanza fu il De neomeniis Salomonis perpetuis libri duo, quorum prior totam neomeniarum rationem ex Sacrae Scripturae fonte et doctorum testimoniis iuxta hebraicam veritatem abundantissime explicat, posterior vero Calendarium Gregorianum exacte complectens ostendit contra haereticorum pravitatem anni correctionem iustam esse, Vico Equense 1599. L’autore, che era in contatto con gli ambienti culturali napoletani più vivaci, in questo testo manifestava una grande ammirazione per Niccolò Copernico che tanto aveva contribuito a quella che sarebbe stata la riforma del Calendario. Grazie alle sue ricerche, che avevano permesso delle acquisizioni scientifiche di enorme importanza,  il suo nome in perpetuas semper erit aeternitates. Cinque anni dopo pubblicava un lavoro che dimostrava la sua padronanza della lingua greca ed il suo interesse per la spiritualità orientale: In CCXXIX sententias paraeneticas S. Nili episcopi et Martyris e graeco in latinum conversas totidem scholia seu commentaria, seguito da una Catena Paraphrastica  Sententiarum Paraeneticarum S. Nili episcopi et martyris). Con il  Tractatus de rerum naturalium perpetuus, in quo explanatur intentum Aristotelis in universa philosophia naturali (Napoli 1615), si è di fronte ad un trattatello propedeutico, in cui in modo semplice sono spiegati i concetti fondamentali della fisica aristotelica. Se in questi primi anni aveva mostrato una grande stima per Copernico, man mano che emergeva la polemica scientifico-teologica il Minerva abbandonava tale atteggiamento e si dichiarava apertamente per l’immobilità della terra, specialmente contro la sententiam chimericam dello scienziato inglese William Gilbert. Frutto di tale svolta fu il De stabilitate terrae coelique ac solis mobilitate contra Copernicum et alios philosophastros veteres et neotericos libri VII, pervenutoci con titoli alquanto diversi. In gran parte inedita, la parte pubblicata nel 1643 rivelava la concezione tradizionale di una Sacra Scrittura che diveniva il criterio di giudizio anche nei confronti della scienza. Un riferimento al caso Galileo (non menzionato esplicitamente) è l’affermazione che le tesi scientifiche possono essere errori ma non eresie, a meno che la Chiesa non le dichiari tali costringendo all’abiura: quemadmodum vehementi abiuratione sunt aliqui puniti. Ma l’opera che recentemente ha attirato l’attenzione degli storici della scienza[3] è il De praecognoscendis temporum mutationibus che fu approvato per la stampa nel 1610, l’anno della pubblicazione del Nuncius sidereus di Galileo, ma che fu effettivamente pubblicato solo nel 1616[4].
   A carattere storico agiografico è l’opuscolo Relatione d’alcuni Padri e Suore dell’Ordine de’ Predicatori, quali, con opinione di santità, sono passati da questa a miglior vita, Roma 1613, mentre un ritorno alla spiritualità orientale rappresenta la Vita della venerabile suor Maria Raggi da Scio del Terzo Ordine di S. Domenico scritta in latino in Roma dal M.R.P. F. Michele Loth de Ribera, scritta nel 1609 e ristampata nel 1617.
   E’ difficile dire quanto del pensiero del Minerva fosse conosciuto a Bari. Probabilmente non molto, visto che riguardava tematiche difficili di per sé; tuttavia, pur cogliendo solo le linee generali, la cittadinanza doveva andar fiera di un uomo che allora si stava facendo onore nella capitale del Regno.
 
   Un altro frate destinato ad affermarsi nella seconda metà del secolo fu Luigi Tommaso Francavilla, il cui nome è legato anche alla storia della costruzione della chiesa e del convento, essendo stato grazie a lui che nel 1674 furono ripresi i lavori.
Questi era giunto a Bari accompagnato dalla sua fama di predicatore noto in tutta Italia. I padri furono ovviamente lieti di accoglierlo nella comunità, anche se, come sempre accade in questi casi, non mancò chi avesse qualcosa da ridire[5].
La  stima da parte del maestro generale proveniva non tanto dalla sua avvincente oratoria, quanto dal suo comportamento  nel capitolo provinciale che si era tenuto a Lecce. Qui infatti si erano scontrati i padri della natione hydruntina e i padri della natione barese. Il rischio che il capitolo fallisse nei suoi intenti era alto. Né era la prima volta che si veniva a creare una tale situazione. Già nel 1652 al capitolo provinciale di Lecce c’erano state delle tensioni fra leccesi e baresi. L’atmosfera si rasserenò quando si decise che il capitolo successivo si sarebbe tenuto a Bari. E invece, per qualche motivo, anche quello del 1654 si tenne a Lecce[6].
   Fu merito del Francavilla se in questo capitolo del 1674 si raggiunse una intesa accettabile. Il maestro generale volle congratularsi personalmente con lui inviandogli una lettera il 28 aprile 1674. Non è quindi da meravigliarsi se pochi giorni dopo, e precisamente il 5 maggio, il vicario della provincia fra Alessandro Spada ne dava comunicazione ai capitolari e faceva approvare i lavori dal diffinitorio riunito in capitolo provinciale [7]. Nonostante tutto però sembra che i lavori andassero a rilento, almeno a giudicare dalla situazione che nel 1681 era quasi identica. In quel periodo il Francavilla non era più priore, ma provinciale. E sia come predicatore che come scrittore era ormai talmente apprezzato da attirare sulla sua persona parecchie donazioni.  Per cui decise di dare una spinta, destinando ai suddetti lavori una certa quantità di tavole donategli dalla città di Venezia, come è detto nel consiglio conventuale del 2 settembre 1681 [8]
   Proprio in questi anni in cui il Francavilla fu provinciale e tenne stretti contatti con la comunità di S. Domenico, un padre di questa comunità era particolarmente amato e stimato dai fedeli che frequentavano la chiesa come pure dalla cittadinanza tutta. Trattasi del P. Alfonso Serio, il quale fu inviato dal maestro generale come lettore nel convento di S. Domenico di Bari. Il P. Serio però andò ben oltre ogni aspettativa. Non solo assolveva con impegno il suo compito di lettore, ma poco a poco attirò l’attenzione per i suoi gesti di carità. Dato che l’arcivescovo di Bari, Giovanni Granafei (1666-1683) mostrò la sua soddisfazione allo stesso maestro generale, questi ne fu grandemente gratificato al punto di scriverne in data 18 febbraio 1673 anche alla comunità [9].
   
    Naturalmente, con tanti padri di buona levatura culturale e morale, le vocazioni non mancavano. Alla fine del XVII secolo il convento aveva tre lettori e 7 novizi. E dato che le camere per i novizi erano 4 (più una per il maestro), per un po’ di tempo furono messi due novizi per stanza. Il che provocò il deciso intervento del maestro generale. Questo, egli scrisse, è un grandissimo disordine, onde si deve onninamente toglierlo e dar anche sollievo a quel convento [10].
     La presenza domenicana a Bari nella seconda metà del XVII secolo si arricchì con l’arrivo del padre Tommaso Maria Ruffo nominato arcivescovo della città. Un uomo dal temperamento molto forte, il che provocò continue incomprensioni col clero locale. Avendo constatato sin dal primo anno del suo arrivo la sua rigorosità, molti preti evitavano la visita non facendosi trovare o addirittura chiudendo la Chiesa. Così fece ad esempio l’arciprete di Acquaviva. Ma il Ruffo non si scompose. Si diresse al locale convento domenicano e redasse una scomunica vitanda ponendo l’interdetto contro la chiesa (20 dicembre 1686).[11] Ugualmente forte era stato l’anno prima con il governatore di Bari a proposito della sedia e baldacchino che avevano nel presbiterio. Egli diede disposizioni affinché il presbiterio fosse riservato solo al clero, provocando ovviamente grandi proteste da parte delle autorità. A Bari alcuni lodavano questo intervento, interpretandolo come  un atto di indipendenza della chiesa nei confronti delle autorità dello stato, altri invece lo consideravano una vendetta personale a motivo del fatto che alla fine del 1685 il governatore, principe di Triggiano, aveva solennizzato in S. Nicola (invece che in Cattedrale) la vittoria imperiale di Nesella contro i Turchi[12].
     Ovviamente con il suo senso dell’autorità episcopale doveva finire per scontrarsi anche col priore di S. Nicola, Alessandro Pallavicini, abbandonandosi ad un lungo braccio di ferro per obbligarlo a togliere dal presbiterio di S. Nicola un baldacchino a lui riservato che aveva tutte le caratteristiche del baldacchino della Cattedrale. Al contempo però intervenne a favore del diritto di immunità della Basilica in un caso di malavita barese. La fazione dei Torroni era in guerra con quella dei Tresca. Nel 1690 presso il convento dei Cappuccini un Dottula (fautore dei Torroni) fu colpito gravemente da un’archibugiata  dei Tresca, i quali subito si rifugiarono in S. Nicola. Ma il governatore Garofalo, violando l’extraterritorialità della Basilica, li inseguì sin dentro le mura che circondano la Basilica e li arrestò. Il Ruffo allora si recò dal governatore e, ricordandogli l’inviolabilità del luogo sacro e i privilegi della Basilica, lo costrinse a fare riportare i malavitosi in S. Nicola[13]. Il suo grande impegno per la rinascita religiosa della città fece sì che, a dispetto dell’eccessivo rigorismo  rimproveratogli da tutti gli storici locali, di tanto in tanto sino ad oggi si sono levate voci di una sua causa di beatificazione. Lo storico Francesco Lombardi che ebbe modo di conoscerlo, parlò di “grido universale di incorrotto prelato”[14].
 
[1] Cappelluti 1991, 186.
[2] Lo studio più completo su questo domenicano barese è quello di Michele Miele, Le certezze anticopernicane di Paolo Minerva e le loro radici,  in “Bruniana & Campanelliana”, 2005/1, pp. 207-234; vedi anche Valle 1651, 338-341; Garruba 1844, 645; Cioffari-Miele 1993, 404.
[3] Cfr. L. Thorndike, A History of Magic and experimental Science, VI, New York 1959, pp. 63-64, 487-488; G. Baroncelli, L’astronomia a Napoli al tempo di Galileo, in “Galileo e Napoli” (Atti del Convegno del 1984), a cura di F. Lomonaco e M. Torrini, Napoli 1987, pp. 202-205.
[4] De praecognoscendis temporum mutationibus iuxta triplicem viam coelestem, metheorologicam et terrestrem libri tres, auctore F. Paulo Minerva Barense Ordinis Praedicatorum, sacrae theologiae magistro. Opus sane universis personarum ordinibus, ne dum iucundum et utile, sed per quam necessarium, philosophis praesertim, medicis, mathematicis, nautis, agricolis, etc. ubi in tertio egregie confutatur opinio de mobilitate terrae, Neapoli 1616.
[5] Biblioteca Sagarriga Visconti, Cassetta 17, 53 ss. His ergo... perlectis et auditis an iuxta seriem litterarum superiorum nostrorum vellem acceptare in filium huius domus S. D.ci de Bario per dictum A. R. P. P. Magistrum Fratrem Thomam Aloysium Francavilla Provinciae nostrae, pro huius conventus honore, decore, utilitate, et stante morte aliorum magistrorum ut habent tantum virum, undequaque moribus atque literis ornatissimum ne dum huic Prov.ciae nostrae toti religioni notissimum, praedicationis fama, et huic Civitati Prelatis, nobilibus omnibusque supramodum ... tissimum et A. P. Fr. Bernardus de S. Eramo lector et tantum noluit capitulum intrare et nulliter se protestavit, qual protesta fu dichiarata nulla e ridicola.
[6] Cfr. Atti del Capitolo provinciale di Trani  del 1670, p. 4.
[7] AGOP IV, 146, ff. 277-278. Esposito, 1998, 190: Il P. Priore del convento di S. Domenico di Bari, con supplica l’espone come tenendo imminente necessità di riparare la fabrica situata su la porta del convento, temendosi la caduta del chiostro e molte altre case appartenenti al convento è ricorso al P. Reverendissimo generale per lo sgravamento  della famiglia ed in particolare dello Studio
[8] D’Addosio, cass. 23, 88: De die 2 septemb. 1681, an videretur ipsis solarium et claustrum imo dirutum [resarcire ?] seu in partibus refacere cum videatur maxime necessarium ob irreparabilem ruinam imminentem in claustro inferiori et stante spontanea oblatione R.mi P. M. Fratris Thomae Aloysii Francaville gratis tabulas quas e Venetiis ob praedicationem habuit et detulit ac perluceret etiam cursum totum fabricae claudere et fenestras in quolibet [arcu] ponere cum vitris.
[9] Esposito 1998, 174: Gran contento mi ha apportato il sentire la soddisfattione  che hanno havuta le Signorie Vostre Ill.me per la provvista da me fatta, in persona del p.re Alfonso Serio e li sentimenti loro mi hanno arrecata consolatione non ordinaria per la gratitudine che ha contratto, con codesto Popolo,  detto religioso con li suoi atti di carità; onde havendo fatto ciò in consideratione,  già sono stati dati da me l’ordini opportuni acciò il suddetto padre goda la carica da me conferitali.
[10] AGOP IV, 185, f. 71r. Esposito 1998, 117.
[11] Pio Scognamiglio, Mons. Fr. Tommaso Ruffo OP., arcivescovo di Bari, Bari 1939, p. 55-56.
[12] Ivi, 65-69.
[13] Ivi, 112.
[14] Lombardi 1697, 159-168.