Il Convento di san Domenico a Bari

Non sappiamo se Enrico Filangieri portasse con sé qualche frate del suo ordine, anche se è più che probabile. In ogni caso, dalla sua morte al primo arrivo di un drappello di Domenicani a Bari passarono 22 anni. Una prima menzione della loro presenza è fatta nel capitolo della provincia romana del 1280, ripresa in quello dell’anno dopo[1]. Il capitolo della Provincia Romana del 1283 già ne parlava come di un convento esistente[2]. Come spesso accadeva nel primo secolo dell’Ordine, i frati partivano appena veniva formulata l’ordinazione capitolare. Il che significa che non attendevano affatto che la sistemazione fosse già ultimata o che fosse abbastanza comoda. Nel caso di Bari è più che evidente che partirono senza perder tempo andando a vivere in un’abitazione di ripiego. Il convento menzionato era infatti un edificio annesso ad una chiesa per pellegrini, viandanti e malati. Questo si deve dedurre dalla sua ubicazione (nei pressi del fossato) appena fuori delle mura della città, come pure dalla dedica a S. Leonardo, il santo dei pellegrini, tra l’altro chiesa non menzionata nei documenti precedenti.
  Se però i frati erano adusi a tante penitenze e non temevano la povertà, non altrettanto si può dire delle aggressioni e violenze da parte di ladri e banditi. Questi si erano fatti sempre più numerosi e pericolosi dopo che Carlo I d’Angiò era morto ai primi del 1285 e il figlio Carlo II era prigioniero in Sicilia. Data questa situazione particolarmente precaria i frati si rivolsero ai monaci benedettini, che nell’area barese avevano i monasteri di Bari e di Ognissanti di Valenzano. Furono questi ultimi ad andare incontro alle esigenze dei domenicani, accettando la permuta degli edifici di S. Leonardo con la loro chiesa dei santi Simone e Giuda, presso le mura della città, ma all’interno.
    Le parti contraenti furono l’abate Guglielmo di Ognissanti per la comunità benedettina e il priore fra Pellegrino da Foggia per la comunità domenicana di Bari. Trattandosi però di una permuta di proprietà di un certo rilievo, furono chiesti tutti i permessi ufficiali, onde sui relativi atti compaiono i sigilli di cera anche dell’arcivescovo di Bari Romualdo Grisone e di Gerardo, cardinale di Santa Sabina, che diede disposizioni affinché la permuta non andasse a discapito dei Benedettini. Invece, almeno a giudicare dagli atti, che riportano i controlli eseguiti da tecnici, tutto si svolse nella massima armonia tra i monaci ed i frati, tanto è vero che il giudice Macciacotta sottolineava la felice circostanza che al momento delle firme i presenti assistevano “liberaliter, ylariter et gratanter”, vale a dire scherzando amichevolmente.
   Il sigillo di cera, sia di Guglielmo che di Pellegrino (“Sigillum Prioris Fratrum Praedicatorum de Baro”), appare in entrambe le copie che si conservano nell’Archivio della Basilica di S. Nicola. La particolare circostanza che dieci anni dopo vedeva annettere il monastero benedettino di Ognissanti di Valenzano con tutte le sue proprietà alla Basilica di S. Nicola è il motivo per cui della nascita del convento di Bari si sono conservati i documenti[3], mentre quelli relativi a tutti gli altri conventi domenicani pugliesi sono andati perduti al momento della soppressione dei conventi nel 1809.
   Pochi conventi domenicani medioevali nel mondo possono vantare la conservazione degli atti di fondazione. E tantomeno conservare l’originario sigillo di cera. Per cui, considerando che il caso di Bari è una delle poche eccezioni, è opportuno riportare in traduzione italiana questi due documenti così preziosi, i quali tra l’altro gettano un po’ di luce sul come nasceva un convento nel XIII secolo.
 
   Nel nome del Signore. Amen.  Nell’anno 1286 dalla sua incarnazione, essendo il Regno di Sicilia  sotto il dominio del reverendo padre Gerardo, per grazia di Dio vescovo di Sabina, legato della sede apostolica, e dell’eccellente sig. conte Roberto II d’Artois,  baiulo del Regno di Sicilia, costituiti tali  dalla santa Romana Chiesa,  nell’anno secondo del loro dominio il 20 maggio della 14ª indizione.
   Noi Maiore di Nicola Maciacotta giudice barese, Nicola Costa pubblico notaio della stessa terra,  i sottoscritti testimoni della medesima terra convocati e richiesti di venire per questo speciale motivo, con il presente atto dichiariamo,
 
1. che il monastero di Tutti i Santi di Cuti dell’ordine di S. Benedetto ha e possiede nella città di Bari a ridosso delle mura, in contrada dei santi Simone e Giuda e in prossimità della chiesa  delle case in buono stato, una corte, delle case senza tetto e parzialmente dirute, nonché alcuni appezzamenti di terre sui quali dei baresi hanno costruito delle case, pagando al monastero un censo pattuito e stabilito mediante appositi istrumenti, vicino alla chiesa dei santi Simone e Giuda presso la casa del fu Leone Bello,  presso la casa di Cristosalvi che dà sia verso la muraglia che verso la via pubblica, e presso la casa del conte di Acerra;
 
2. che l’ordine domenicano ha e possiede in Bari fuori della città e delle mura presso e all’intorno della chiesa di S. Leonardo alcuni orti con case a pianterreno con una copertura senza tetto, un muro di cinta  e pozzi con acqua corrente nei suddetti orti e tra le case, i quali orti si trovano lungo la via pubblica presso e all’intorno della chiesa di S. Leonardo presso il fossato della città che costeggia la via pubblica presso l’orto di Nicola di Guglielmo di Carofiglio,  presso la via per Bitetto e Loseto, presso l’orto di Gaderisio, signore di Carbonara,  presso l’orto che era stato  di Nicola Maciacotta, presso l’altra via per Ceglie, presso l’orto che era stato del signor Andrea di Gualtiero Tirelli e presso la macelleria vecchia.
 
Dichiariano altresì che i religiosi fra Pellegrino da Foggia priore di Bari e la comunità domenicana di Bari hanno intenzione di traslocare la loro residenza all’interno delle mura della città di Bari per la qual cosa sono intenzionati ad addivenire con l’abate e la comunità del suddetto monastero di Ognissanti ad una permuta tra i loro possedimenti e quelli dello stesso monastero. D’altra parte però, non volendo il priore e la comunità domenicana concludere la permuta senza il consenso e il permesso della Chiesa Romana, hanno fatto domanda  al legato pontificio Gerardo vescovo di Sabina e legato della sede apostolica, quindi hanno fatto domanda anche all’arcivescovo di Bari e Canosa, il venerabile Romualdo Grisone, esibendo la lettera del legato munita del pendente consueto sigillo di cera rossa, il cui tenore è il seguente:
 
“Gerardo, per la misericordia divina vescovo di Sabina, costituito legato apostolico dalla santa Chiesa Romana, insieme a Roberto conte di Artois, amministratore  del Regno di Sicilia, al venerabile padre in Cristo arcivescovo di Bari salute nel Signore.
Il priore e la comunità dei frati predicatori di Bari ci hanno comunicato  che avendo l’abate e la comunità benedettina del monastero di Ognissanti presso Bari  alcune case e casalini non particolarmente redditizi in prossimità della chiesa dei santi Simone e Giuda di Bari dove il suddetto priore e la comunità avrebbero intenzione di costruire un convento in cui successivamente trasferirsi, essi vorrebbero a tale scopo fare una permuta, dando alcune loro proprietà che potrebbero riuscire utili all’abate e alla comunità suddetta in cambio delle suddette case e casalini. Per questo motivo mi hanno rivolto la loro umile domanda affinché concedessimo il permesso ad entrambe le parti di procedere alla permuta. Per cui con la presente ordiniamo alla tua paternità di recarsi sul posto e presa visione di tutte le cose da tener presente ed osservare, nel caso che le risulterà che la permuta possa essere di qualche utilità allo stesso monastero, per la nostra autorità conceda il permesso richiesto, fermo restando che se poi la cosa si volgerà a danno del suddetto monastero  sarà lei a risponderne dinanzi al Signore. Dato a Napoli il 13 luglio anno primo del pontificato di papa Onorio IV”.
 
  Volendo dunque il suddetto arcivescovo eseguire fedelmente quanto gli è stato ordinato di fare dal signor legato, ci ha convocati ed insieme a lui ci siamo recati nei luoghi sia del monastero che dei frati predicatori ed ivi alla presenza dello stesso abate Guglielmo e della sua comunità, come del priore fra Pellegrino e della sua comunità dei predicatori di Bari, dopo aver esaminato tutti gli aspetti della vicenda, e valutato la quantità e la qualità dei beni in questione, prestando particolare attenzione alla loro rendita annua, al fine di una più scrupolosa valutazione  dell’affare e affinché in alcun modo si potessero ledere i diritti di terzi, abbiamo interpellato alla sua presenza i sottoscritti  signori esperti degli aspetti legali, Ruggero del signor Risone, Ruggero del sire Tommaso, il maestro Basilio sovrintendente alla fabbrica della Cattedrale ed il mercante Giovannuccio di Benevento, cittadini baresi, ai quali si è chiesto a nome di Dio onnipotente di esaminare attentamente i beni sia del monastero che dei frati predicatori, e di fare il calcolo legale del loro valore tenendo conto sia degli attuali valori correnti sia delle previsioni per il futuro, e senza nulla trascurare esaminare ogni aspetto affinché nulla possa poi andare a detrimento del monastero (di Ognissanti).
Sia il detto abate Guglielmo con la sua comunità che il priore fra Pellegrino da Foggia con la sua comunità volontariamente, accettando costoro come arbitri e compositori amichevoli, si sono con loro impegnati stipulando un atto pubblico per il quale hanno dichiarato che tutto ciò che da costoro sarà determinato relativamente agli apprezzi dei singoli beni da permutare sarà da loro accettato ed approvato. Si sono quindi impegnati ad osservare tutti i termini di questa transazione, e che in futuro attenendosi ad essa non ne avrebbero mai violato le condizioni.  Quelli poi, avendo sempre Dio dinanzi agli occhi, si sono messi al lavoro esaminando diligentemente tutti i beni anche dal punto di vista legale e, avendoli vagliati nella quantità come nella qualità tenendo conto non solo del presente ma anche del futuro, dopo essersi consultati fra di loro ed avendo concordato su tutto, hanno convocato noi predetto abate e priore e relative comunità dinanzi all’arcivescovo. Quindi hanno affermato che, dopo aver preso in considerazione tutti gli aspetti, hanno concluso che i beni da permutare erano praticamente dello stesso valore e che, secondo avevano potuto accertare, si poteva addivenire alla suddetta permuta senza che alcuna delle parti ne ricevesse un danno nel presente o nel futuro. Avendo ascoltato e preso atto di queste conclusioni e quindi dei vantaggi che ciascuna delle parti ne avrebbe tratto, entrambe le parti dichiararono di accettarne i termini. L’arcivescovo da parte sua avendo preso visione della cosa personalmente e basandosi su quanto detto dagli arbitri, nel senso cioè che la detta permuta conveniva ad entrambe le parti e soprattutto che non andava a detrimento del suddetto monastero, per l’autorità conferitagli dal legato pontificio con la lettera suddetta concesse che si facesse l’atto di permuta.
  Questa licenza, concessa dall’arcivescovo, fu quindi data in nostra presenza a fra Guglielmo abate e alla sua comunità  di Ognissanti insieme al giudice Guglielmo di Risone loro avvocato, i quali, in forza della permuta hanno immesso il priore fra Pellegrino a nome di tutta la comunità e dell’ordine dei frati predicatori nel possesso di tutti questi beni accuratamente delimitati nei confini con tutti i diritti e privilegi ed ovviamente con i redditi e gli esiti fino alla via pubblica, specificando che di questi beni sia essi che i loro successori ne potessero fare ciò che avessero voluto senza che alcuno potesse opporsi.
     Da parte loro, il priore e la comunità dell’ordine dei predicatori alla nostra presenza e sempre in forza della detta permuta hanno ceduto all’abate nelle mani del suo avvocato che li ha ricevuti anche a nome della comunità del monastero, immettendoli nel corporale possesso, tutti i loro beni accuratamente descritti nei loro confini sia per quanto riguarda diritti e privilegi sia per quanto riguarda le rendite e i costi fino alle vie pubbliche col diritto di farne loro e i loro successori tutto ciò che avessero voluto senza che alcuno potesse opporsi.
    In forza di questo atto, entrambe le parti, osservando solennemente tutte le formalità del caso, alla presenza di noi giudice, notaio e testi si sono reciprocamente resi garanti ed impegnati a che, sia loro che i loro successori, dovranno ritenere confermata e definitiva la suddetta permuta, e senza rimetterla in discussione difenderla da una parte e dall’altra.
Di tutto ciò a cautela di entrambe le parti sono stati redatti due istrumenti consimili, da me notaio pubblico Nicola apponendovi il mio solito sigillo, e da me suddetto giudice, corredandoli con le sottoscrizioni dei predetti testimoni e con i nostri sigilli. Gli stessi istrumenti sono stati convalidati anche da sigilli e firme (impressionibus) dei suddetti abate e priore e relative comunità, da conservarsi uno dal detto monastero e l’altro dal predetto ordine religioso. A dare maggiore sicurezza e garanzia di validità noi Romualdo, per grazia di Dio arcivescovo della sede di Bari e Canosa, abbiamo voluto apporre la nostra firma col nostro sigillo. L’atto l’ho scritto io Nicola Costa pubblico notaio di Bari che sono stato presente alle trattative ed ho apposto il mio solito sigillo.
Io Romualdo, per grazia di Dio arcivescovo della sede di Bari e Canosa, ho firmato
Maior, giudice di Bari
Nicola, di sire Grimoaldo
Nicola, figlio del giudice Basilio
Io Filippo, presbitero della Chiesa barese.
 
     I due istrumenti di cui parla l’atto di permuta furono effettivamente redatti contestualmente e consegnati l’uno all’abate di Ognissanti l’altro al priore dei domenicani. Naturalmente quest’ultimo è andato perduto nella soppressione francese del  1809 (se non già prima). Ma si è conservato quello dell’abate di Ognissanti, che nel 1295 confluì (con tutte le pergamene del monastero di Valenzano) nell’archivio della Basilica di San Nicola, dove si trova ancora oggi. Dato che anche questo documento presenta interessanti particolari è opportuno riportarlo in traduzione:
 
Nel nome del Signore. Amen. Nell’anno della sua incarnazione 1286 avendo il dominio sul Regno di Sicilia il reverendo padre signor Gerardo, per grazia di Dio vescovo di Sabina e legato apostolico, insieme all’eccellente signor Roberto II conte di Artois, costituiti amministratori del Regno di Sicilia  dalla santa Romana Chiesa, nel secondo anno del loro dominio,  il 20 maggio della quattordicesima indizione.
     Noi Maior di Nicola Maciacotta, giudice di Bari, Nicola Costa pubblico notaio della stessa terra, e i sottoscritti testimoni istruiti della stessa terra appositamente convocati, con il presente atto pubblico dichiariamo che, avendo deciso il priore fra Pellegrino con la sua comunità di frati predicatori in Bari, a causa delle guerre in corso e i tempi particolarmente turbolenti e pericolosi,  di lasciare il luogo in cui si trovano fuori della città presso la chiesa di san Leonardo, e di costruire un nuovo convento all’interno delle mura della città di Bari ove attendere in serenità alla celebrazione dei divini uffici e decorosamente servire Dio, hanno chiesto a fra Guglielmo abate e alla comunità del monastero di Ognissanti di Cuti, per amore di Dio e senza che vi sia danno alcuno per il monastero, di prendersi con un atto di permuta la loro chiesa di S. Leonardo fuori le mura della città, dando in cambio ad essi in forza dello stesso atto una chiesa di proprietà di detto monastero dedicata ai santi Simone e Giuda, che si trova all’interno delle mura della città nella via degli ospizi presso la dogana.
    Una volta che il suddetto abate e comunità, hanno constatato che la suddetta permuta non arreca alcun danno al monastero, ed hanno risposto positivamente alla richiesta, tanto il priore dell’ordine dei predicatori quanto l’abate  e la comunità del monastero di Ognissanti, con l’assenso e la licenza del rev. Padre signor Gerardo, vescovo di Sabina e legato della sede apostolica nonché del padre  signor Romualdo, arcivescovo della sede di Bari e Canosa, nella cui diocesi le due chiese si trovano, per mezzo nostro, giudice notaio e sottoscritti testimoni, hanno proceduto, in forza della suddetta lettera del legato e dell’espressa volontà dell’arcivescovo, alla stipula della permuta.
   Così, il detto abate e comunità del monastero di Ognissanti, insieme al giudice Guglielmo di Risone di Bari loro avvocato, attuando tale permuta hanno dato e consegnato al priore, che la riceveva a nome della comunità e di tutto l’ordine dei predicatori, la suddetta chiesa dei santi Simone e Giuda con facoltà di fare in essa e di essa ciò che hanno intenzione di fare, immettendo gli stessi in corporale possesso della chiesa stessa. Da parte loro, il priore e la comunità dei frati predicatori in forza dello stesso atto di permuta hanno dato e consegnato allo stesso abate che la riceveva a nome del monastero e della comunità la chiesa di S. Leonardo con facoltà di fare in essa e di essa ciò che possono e devono fare, immettendoli in corporale possessione della stessa.
   Una volta che la permuta è stata stipulata in un’atmosfera di liberalità, gioia e gratitudine, hanno consegnato l’uno all’altro una cautela, redatta osservando tutte le formalità legali richieste in simili casi, per la quale, alla presenza di noi giudice notaio e sottoscritti testimoni, si impegnano loro e i loro successori a mantenere fede alla suddetta permuta, difendendo gli uni i diritti degli altri sulle suddette chiese. Che se a qualcuno venisse in mente di opporsi, l’altra parte avrà facoltà di far mettere sotto sequestro tutti i beni della parte avversa che ha tentato di violare questo accordo, che sia il monastero o l’ordine, fino a che non avranno rispettato questa permuta.
   Di questa permuta, a cautela delle due parti,  sono stati fatti due pubblici istrumenti consimili per mano di me Nicola pubblico notaio di Bari col mio solito sigillo,  con la firma di me giudice e le firme dei sottoscritti testimoni, entrambi corredati dei sigilli e firme dei suddetti abate e priore e relative comunità, uno da conservarsi da parte del monastero l’altro da parte della suddetta comunità. I quali istrumenti noi, Romualdo, per grazia di Dio arcivescovo della sede barese e canosina, dato che abbiamo dato l’assenso e la licenza per tale permuta, abbiamo disposto di munirli anche del nostro sigillo e firma. A scriverli sono stato io notaio Nicola Costa  pubblico notaio di Bari che sono stato presente ed ho firmato apponendo il mio solito sigillo.
Io Romualdo, arcivescovo della sede barese e canosina, ho firmato
Maior, giudice barese
Nicola di sire Grimoaldo
Nicola figlio del giudice Basilio
Filippo, presbitero della chiesa barese.
 
[1] MOPH III, p. 220.
[2] Kaeppeli 1941, 65.
[3] CDB XIII, doc. 39 e 40 (pp. 56-59 e 59-61).