La prima crociata e il Concilio di Bari

     Già prima della reposizione delle reliquie notevole fu il flusso dei pellegrini. La cosa non frenò affatto l’impegno di Elia, che continuò a riversare le sue energie nella costruzione della Basilica superiore. Secondo lo storico Guglielmo di Tiro (che scriveva 100 anni dopo) nel 1094 passò da Bari il famoso predicatore Pier l’Eremita. Era il preludio della grande epopea delle crociate.
     Il fior fiore della cavalleria medievale partì per Costantinopoli e Gerusalemme scegliendo la via di Bari. Così nell’ottobre del 1096 scendevano a pregare sulla tomba di san Nicola  Ugo di Vermandois, Roberto di Fiandra, Stefano di Blois, Roberto di Normandia, Drogone di Nesle, Guglielmo il Carpentiere e Clarambaldo di Dandeuil. Un mese dopo, ad essi si univano il signore di Bari Boemondo, e il suo nipote Tancredi, entrambi protagonisti del poema del Tasso (La Gerusalemme Liberata).   Il noto cronista della Prima Crociata, Fulcherio di Chartres, che era presente, non si limitò a segnalare il passaggio da Bari, ma sottolineò l’omaggio che i cavalieri vollero rendere alle reliquie di S. Nicola[1].
 
     L’impronta più evidente di quel particolare momento storico si trova sull’architrave del Portale dei Leoni. Al centro in alto c’è un castello con un portone chiuso difeso da alcuni soldati. Quindi, sia da una parte che dall’altra si vedono accorrere guerrieri armati che a cavallo e lancia in resta si lanciano all’assalto. Potrebbe esprimere il nuovo spirito di conquista dei Normanni che meno di venti anni prima avevano strappato la Sicilia alla lunga occupazione saracena, oppure, più direttamente, la recente conquista di Antiochia (1098) da parte di Boemondo d’Altavilla. Un episodio che vide alla ribalta la Basilica, in quanto Boemondo in ringraziamento a S. Nicola mandò la lussuosa tenda dello sconfitto Kerbogha in dono alla Basilica.
     Nel 1098 Bari era ancora alla ribalta. Rendevano omaggio alle sacre spoglie di S. Nicola il massimo pensatore del tempo, Anselmo d’Aosta, qui giunto col segretario Eadmer, per il Concilio di Bari convocato dal papa Urbano II, e dove fu presente tra gli altri anche il futuro papa Pasquale II. Il Concilio, al quale erano presenti ben 185 vescovi (fra latini e greci dell’Italia meridionale), avrebbe dovuto affrontare soprattutto il caso di Anselmo, esiliato dal re d’Inghilterra Guglielmo il Rosso, nonché alcune questioni ecclesiastiche pendenti nell’Italia meridionale. Improvvisamente però il dibattito si accese su una questione ben diversa, quella del Filioque. Al discorso del papa, tendente a legittimare l’avanzata della Chiesa romana in Terra Santa grazie alle armi dei crociati, i Greci reagirono denunciando l'alterazione del Credo. Nell’antico simbolo niceno costantinopolitano era scritto che lo Spirito Santo procede dal Padre, ora nel Credo della Chiesa romana si diceva che procede dal Padre e dal Figlio. Proprio su questa aggiunta e dal Figlio (il famoso Filioque) si incentrò il dibattito e soprattutto l’intervento teologico di S. Anselmo d’Aosta, il famoso filosofo dell’argomento ontologico dell’esistenza di Dio[2].
 
     Protagonista della vita barese dell’epoca era sempre l’abate Elia, il quale fece anche da padrone di casa a ben 185 vescovi confluiti a Bari nell’ottobre del 1098 per la celebrazione di un concilio voluto da papa Urbano II. E come alla Prima crociata è direttamente collegato il Portale dei Leoni, così al Concilio del 1098 è direttamente collegata la celebre cattedra dell’abate Elia. Anche qui la testimonianza è coeva. L’Anonimo barese, che verso il 1120 rielaborò la precedente cronaca di Lupo Protospata, così ebbe a registrare nella sua Cronaca:
Anno 1099 (computo bizantino, e quindi 1098). Al mattino del tre ottobre venne il papa Urbano II con molti arcivescovi, vescovi, abati e conti. Entrarono in Bari e furono accolti con grande riverenza. Mons. Elia, nostro arcivescovo, preparò una cattedra meravigliosa (mirificam sedem) nella chiesa del beatissimo Nicola, confessore di Cristo. E il papa tenne qui un sinodo per una settimana[3]. Trattasi di un solo blocco di pietra con la parte superiore d’intonazione bizantina, quella inferiore nettamente romanico normanna. Le sculture sono bellissime. Allo sforzo rabbioso e doloroso dei due talamoni che reggono la cattedra, fa da contrasto la serenità del pellegrino centrale, che guarda con gratitudine verso l’ideale occupante della cattedra. Il suo significato simbolico potrebbe essere appunto quello della gratitudine verso l’abate Elia che con la sua opera ha favorito la Crociata che ha finalmente reso sicuro il cammino verso Gerusalemme.
    Sulla fascia centrale c’è la scritta: Inclitus atque bonus sedet hac in sede patronus presul barinus Helias et canusinus. Qualche storico dell’arte ha voluto posticipare l’opera scultorea (soprattutto per il senso del volume) al XII secolo, interpretando anche la suddetta iscrizione come commemorativa, se non addirittura come ideologica (per affermare l’ideale presenza di quel carismatico protagonista nel tempio di S. Nicola). Certo è che a Bari Elia lasciò un grande ricordo, scolpito tra l’altro nella bella epigrafe sulla sua tomba, in cui è paragonato a Salomone come architetto e al profeta Elia per la santità della vita.
 
    Fra le tracce di questo periodo è dunque opportuno ricordare:
 
  1. Cattedra dell’abate Elia (1098)
  2. Portale dei Leoni (raffigurante forse la presa di Antiochia da parte del principe Boemondo, 1098)
     3. Quattro capitelli centrali della cripta 
     4. Epigrafe dell’abate Elia con i 4 filosofi in conversazione.
 
 
[1] Fulcherio di Chartres, Gesta peregrinantium, lib. I, cap. 2; in PL 155, col. 832.
[2] Cfr. Eadmer, De Sancto Anselmo Archiepiscopo Cantuariensi, Vita, in Acta Sanctorum Aprilis, t. II, Venetiis 1738, pp. 880 e 888; Alia Vita ex Historia Novorum, lib. II, cap. IV, ivi, pp. 916-918.
[3] Cfr. Anonimo Barese, Chronicon, in Muratori, RIS, V, p. 155.