Storia dell'Archivio

La storia dell’Archivio, come quella della Basilica, è fortemente condizionata dall’atteggiamento nei suoi confronti dei duchi normanni (1071-1130), dei sovrani di Sicilia (1130-1266), di Napoli (1266-1860) e d’Italia (1861-1945). Già il normanno Boemondo ottenne dal papa Pasquale II l’esenzione del clero di S. Nicola dalla giurisdizione dell’arcivescovo di Bari (1105). Cosa che non impedì aspri contrasti con la cattedrale nella prima metà del XIII secolo. L’epoca d’oro fu comunque quella angioina e specialmente il regno di Carlo II d’Angiò (1285-1309) che, prigioniero in Sicilia, convinto di essere sfuggito alla decapitazione grazie alle sue preghiere a S. Nicola, appena liberato si mostrò particolarmente generoso verso la Basilica. â€¨L’Archivio si arricchì allora delle pergamene dell’antico monastero benedettino di Ognissanti, dono del suddetto sovrano (1295). Molte altre pergamene si riferiscono ai due feudi (Rutigliano e Sannicandro) donati dallo stesso sovrano nel 1304. Questo è pure l’anno della costituzione ecclesiastica promulgata da Carlo II per il capitolo di S. Nicola, grazie all’autorità concessagli dal papa Bonifacio VIII e confermata da Clemente V nel 1308. 
Grazie a questa costituzione ecclesiastica il capitolo di S. Nicola assunse una struttura più stabile e definita. Prima del 1304 non si conosce il numero dei canonici che componevano il capitolo nicolaiano. Si sa che la prima menzione di un priore risale al 1133, la prima del capitolo al 1163. Rispetto al capitolo della cattedrale, quello nicolaiano aveva i due primiceri (prima menzione, 1181) ma non l’arcidiacono, carica assorbita forse dal priorato. Venivano quindi il cantore ed il succantore. Non era lecito avere il canonicato o cariche capitolari simultaneamente in S. Nicola ed in Cattedrale, ma non mancarono le eccezioni. Ai primi del Duecento il priore Blandimiro era anche arciprete della Cattedrale. 
La costituzione del 20 luglio 1304 fissava a 42 il numero dei canonici (incluso il tesoriere, il cantore ed il succantore, che erano di nomina regia, come il priore). Metà dei canonici li nominava il re, metà il priore. La chiesa era però servita da altri 58 chierici (28 mediocri, 30 infimi). In tutto, 100 chierici. 
Lo stesso documento chiarisce poi la disposizione nel coro, formato da due serie di stalli. Il magister scholarum si sarebbe occupato della tabella degli uffici, i quali dovevano essere recitati punctatim atque tractim. Non bisognava entrare se si arrivava in ritardo, e bisognava evitare sermocinationes et loquelas in choro. Affinché poi la liturgia fosse celebrata secondo il rito parigino, il re donò 23 codici liturgici miniati, otto dei quali (con altri sette successivi) sono giunti sino a noi. Tale liturgia restò in vigore fino al 1603. 
Quanto all’abito talare, era previsto che in coro bisognava entrare solo con le insegne canonicali, vale a dire la cappa di lana nera e l’almuzia (dal vespro dei defunti, 2 novembre) deponendo la cappa nera al gloria della notte di pasqua per indossare le superpelliceas lineas, e conservando le almuzie. 
E dato che chi serve all’altare dall’altare deve ricevere sussistenza, il re provvide il capitolo della rendita di 400 once annue (poi permutate in feudi, Rutigliano, Sannicandro e Grumo, che fornissero la stessa rendita). Di tale rendita annuale 80 once spettano al priore, 20 al tesoriere, le altre 300 in gran parte ai canonici, e in piccola parte agli altri chierici. La quantità era determinata dalla assiduità al coro. Le assenze erano puntate, e quindi veniva detratta la relativa somma. 
Mentre il sigillo del priore mutava di volta in volta ed era legato allo stemma nobiliare della sua famiglia, quello del capitolo era costante. Il più antico esemplare pervenutoci è di cera e risale al 1353, e si trova attaccato alla Pergamena del periodo Angioino M 10. Ottimo è lo stato di conservazione. Raffigura S. Nicola a mezzo busto, con la testa scoperta e in paramenti episcopali orientali. La destra è benedicente, mentre la sinistra regge un libro chiuso. A fianco all’altezza del capo vi sono due croci (una per parte) in mezzo a tanti gigli (in omaggio al re angioino). La legenda tutt’intorno sembra essere la seguente: S(igillum) Capituli (manca: regalis ?) Ecclesie Sci Nicolai (de Baro ?). 
La crisi del potere angioino, a causa degli scontri interni (angioini di Napoli, d’Ungheria e di Durazzo), si rifletté sia sulla Basilica che sull’Archivio. Infatti la documentazione tra il 1350 e il 1442 presenta non pochi vuoti, anche relativamente alla cronologia dei gran priori. Fu il priore Francesco Caracciolo nel 1485 ad avviare su di un libro cartaceo la registrazione delle conclusioni delle riunioni del capitolo (le cosiddette Conclusioni Capitolari). E da allora l’Archivio si arricchiva sensibilmente anche dal punto di vista dei fondi cartacei. Importanti sono, ad esempio, la ricchissima serie Bari, preziosa per ricostruire la storia della città, la serie Ospizio, costituita dai libri dei pellegrini a partire dal 1650, la serie Cause, contenente i verbali dei processi della curia del Priore. 
Questo però era un tempo in cui ancora assente era la sensibilità culturale verso i documenti in quanto tali. La loro conservazione in apposite cascie ed ordinati in mazzi era decisamente mirata alla difesa dei diritti e privilegi della Basilica stessa. Di conseguenza, particolare cura era prestata solo ai documenti utili all’economia della Basilica, gli altri erano piuttosto trascurati ed in stato di abbandono, consultati da rari studiosi, come il Beatillo intorno al 1610 e il Putignani intorno al 1755. Un notevole depauperamento si ebbe nel 1799 allorché, per salvare tali documenti dalla furia dei francesi, molti canonici li portarono alle loro case, da dove non sempre fecero ritorno. Momenti difficili sia per la Basilica che per l’Archivio furono il decennio francese (1806-1815), con le sue leggi eversive della feudalità, e l’affidamento ad una Amministrazione laica (1891), con ovvia sottovalutazione delle iniziative liturgico-pastorali. 

Eppure, mentre questa crisi si accentuava, si delineò l’attività culturale di due protagonisti della recente storia della Basilica, i quali diedero all’Archivio una impostazione moderna. Fu infatti riordinato tutto il materiale documentario, messo in armadi atti allo scopo ed in cassette di legno. Tale ristrutturazione risale al gran priore Oderisio Piscicelli Taeggi (1893-1915), mentre è merito del canonico e valente paleografo Francesco Nitti di Vito (+ 1944) se la metà circa delle pergamene furono trascritte e pubblicate nell’encomiabile Codice Diplomatico barese. â€¨Il capitolo però nel suo insieme attraversava un momento critico. Già le leggi eversive della feudalità del 1806-1809 avevano inferto un duro colpo con la drastica riduzione dei proventi. Arduo fu ugualmente il passaggio all’Unità d’Italia. Ma la svolta più dura e senza ritorno per il capitolo fu il decreto regio del 1891 con cui si istituiva una Amministrazione civile delle Basiliche Palatine Pugliesi alle dipendenze del Ministero degli Interni. Chiudevano così sia l’Ospizio dei pellegrini che l’Istituto Putignani al fine di sostenere un erigendo ospedale e la Scuola d’Arti e mestieri Umberto I. Il capitolo veniva dunque estromesso dall’amministrazione della Chiesa al punto che non poteva neppure riscuotere le offerte dei fedeli. I canonici divenivano degli stipendiati comuni. Una Commissione dei servizi interni avrebbe avuto il compito di segnalare le necessità per la fabbrica e per le attività liturgiche. Ma ogni decisione spettava alla suddetta Amministrazione civile, tutt’altro che sensibile alle necessità della chiesa. 
Intanto un decreto regio (21 aprile 1891) riduceva il clero da 100 unità a 48 (di cui 20 canonici). Il capitolo era rimodellato su quello della Cattedrale, assumendo quindi le denominazioni di quelle dignità, vale a dire arcidiacono, cantore e primicerio. Una seconda riduzione fu disposta nel 1909, portando il clero da 48 a 36 unità (di cui 18 canonici). E non era finita. Nel 1918, da 36 il clero fu portato a 18, di cui 12 canonici. Un decreto concistoriale del 6 dicembre 1919 (De ordine a Capitulo et Clero Basilicae Sancti Nicolai Barensis servando) cercava di riportare invano un po’ di ordine e serenità nel capitolo di S. Nicola. Né le condizioni dei canonici migliorarono col concordato di dieci anni dopo (1929). 
Alla morte dell’ultimo gran priore, mons. Nicola Savinetti (1945), nella cittadinanza di diffuse la convinzione che per ridare impulso e prestigio alla Basilica fosse necessario affidarla ai Benedettini (tali essendo stati i primi due rettori, Elia ed Eustazio) o ad altro ordine religioso. Il 25 novembre del 1951 il papa Pio XII affidava la Basilica all’Ordine domenicano. La nuova comunità trovava ben presto la sua identità nell’attività ecumenica e specialmente nell’incrementare il dialogo con gli ortodossi, particolarmente devoti di S. Nicola. 

Quanto all’Archivio, però, gli anni del passaggio dai canonici ai Domenicani (1945-1953) non furono felici. Il materiale documentario affidato per motivi di studi ad enti culturali (ad esempio, l’Archivio di Stato) non sempre rientrò nella sua integrità. Poco a poco comunque, anche grazie all’impegno del priore P. Girolamo de Vito, l’Archivio fu ricostituito e fu trovata una sede sicura. Responsabili dell’Archivio furono il P. Fernando Durelli (tra gli anni ’50 e ’60), P. Battista Mezzanotte (anni ’70) e P. Gerardo Cioffari (dal 1980 ad oggi). 
Nel 2000 l’Archivio è stato traslocato nella zona retrostante la sacrestia, impreziosita dalle antiche strutture della Corte del Catepano (al secondo piano dunque rispetto alla nuova sede della Biblioteca, che si affaccia appunto sulla Corte del Catapano, via Palazzo di Città). â€¨Nel 2010 sia l’Archivio che la Biblioteca sono tornati nei locali appena rinnovati a pianterreno del cortile interno della Basilica (lato sud).