Da Bari ad Antiochia

Agli inizi del 1087 circa ottanta marinai, commercianti e schiavi (il numero 62 si riferisce ai partecipanti con diritti civili) partirono per Antiochia su tre navi  cariche di grano e di cereali.  Secondo Giovanni Arcidiacono, uno dei due cronisti baresi della Translatio, già nel viaggio d’andata i Baresi compirono una missione di perlustrazione, dalla quale risultò inopportuno il tentativo di rapimento delle reliquie a causa della presenza dei Saraceni ivi convenuti in massa per il funerale di un loro capo. Procedendo nella navigazione, raggiunsero la rada di S. Simeone, porto di Antiochia, e mentre alcuni restavano di guardia, i mercanti veri e propri si recarono nelle vie e nelle piazze ove si tenevano le fiere, per vendere i loro prodotti. Anche dal seguito del racconto risulta evidente che i Baresi portarono a termine tutte le operazioni commerciali. E’ però difficile dire quanto tempo si fermassero ad Antiochia. Si sa che in questa città vennero a contatto con dei mercanti veneziani, i quali anch’essi ragionavano tra loro della possibilità di rapire le reliquie di S. Nicola, tanto più che la Licia era infestata di saraceni, e le reliquie del grande Santo rischiavano di finire nelle mani degli infedeli. I Baresi allora affrettarono i loro affari e presero gli accordi su come muoversi. Fu deciso, ad esempio, di accogliere la richiesta di due pellegrini provenienti da Gerusalemme di aggregarsi a loro. Uno era francese, Alessandro, e l’altro era greco. Avrebbero potuto essere utili come interpreti al momento dello sbarco ad Andriake, il porto di Mira.
 Nella chiesa di Mira
Quando nella via del ritorno le tre navi accostarono al porto di Andriake, i comandanti decisero di evitare, se possibile, uno scontro coi saraceni, mandando preventivamente in perlustrazione alcuni uomini insieme ai due pellegrini suddetti. Rassicurati da questo punto di vista, mentre una quindicina restavano a bordo insieme ai vogatori, gli altri 47 si inoltrarono per circa due chilometri all’interno, pervenendo alla chiesa dove si conservavano le reliquie di S. Nicola, che si trovava a circa un chilometro prima dell’abitato. Ivi trovarono quattro monaci bizantini, ai quali chiesero della manna, il liquido che si formava nella tomba del Santo. Altri si misero a pregare, dando l’impressione di una comitiva di pellegrini. I più giovani, però, non avevano la pazienza per tutto quel tergiversare. Finalmente, i Baresi rivelarono il loro intento, di portare le reliquie in salvo, vista l’imminente conquista turca. Erano disposti anche a trattare finanziariamente la cosa. Inizialmente, forse non prendendoli troppo sul serio, i monaci risposero che il Santo non aveva mai permesso ad alcuno di portarlo altrove. Persino l’imperatore Basilio il Macedone aveva dovuto recedere da un simile intento. Quando, però, i monaci guardarono meglio e si accorsero che i Baresi sotto i mantelli portavano delle armi, capirono che quelle dei Baresi non erano vaghe intenzioni, ma propositi fermi. Allora uno dei monaci cominciò a indietreggiare lentamente verso la porta, deciso ad andare ad informare i Miresi di quanto stava accadendo. I Baresi però avevano già provveduto a bloccare l’entrata, per cui il povero monaco fu immobilizzato. Anzi, uno dei Baresi, estratta la spada, la puntò alla gola dell’uomo di Dio, minacciando di ucciderlo se non avesse parlato e non avesse rivelato l’ubicazione del sepolcro del Santo. Intervenne a quel punto un altro monaco, il quale aveva capito che ogni resistenza sarebbe stata inutile, e speranzoso che nel frattempo sarebbe accaduto qualcosa che avrebbe impedito la perdita del sacro tesoro, rivelò agli astanti il luogo ove riposavano i suoi sacri resti. I Baresi si accorsero che era proprio in corrispondenza del foro da cui veniva estratta la santa manna.
Cominciarono così a dare delle picconate per scavare la tomba, accorti a non colpire le reliquie. Ma il tempo passava e alcuni cominciavano ad innervosirsi. Fu così che il giovane Matteo decise di bandire ogni timore e di spaccare la lastra del sarcofago. Tolto quindi il coperchio, entrò nel sarcofago, affondando le mani nella manna che lo riempiva, ed estraendo le ossa del Santo. Tutti guardavano esterrefatti, un po' per la vista diretta delle reliquie, un po' allarmati dal modo in cui le ossa venivano prese. Un episodio però si verificò a quel punto che ebbe l’effetto di rasserenare gli animi. Fra i Baresi c’erano anche due sacerdoti, Lupo e Grimoaldo. Quest’ultimo, durante tutta quell’operazione, aveva appoggiato ad una colonna un’ampolla di manna. Un movimento inconsulto la fece cadere, con il caratteristico rumore che precede l’andata in frantumi. E invece, ciò non si verificò. Dopo un primo momento di sorpresa, il fatto fu interpretato come un segno favorevole, un’approvazione da parte del Signore e del Santo stesso di quanto essi stavano facendo.
Così Matteo completò l’opera di estrazione delle reliquie, porgendole ai suddetti due sacerdoti che, baciandole, le riponevano in un panno. Qualcuno cercò di prendere anche una bella icona appesa al muro, ma gli altri lo esortarono a desistere per non privare del tutto i quattro monaci della presenza del Santo. Raccolte le reliquie, e quasi cantando sommessamente, presero la via delle navi. Dopo qualche incertezza su quale delle navi avrebbe dovuto avere l’onore di portare le reliquie, finalmente si decisero e levarono le ancore.