Racconto della traslazione

Dalla “Storia della traslazione di san Nicola Vescovo” redatta da Giovanni Arcidiacono barese
(P.F. Laurentii Surii ad diem IX Maji, ed. Coloniae Agrippinae 1618, vol. III, pp. 116-121, loca selecta).
 
Questa festa della traslazione di san Nicola, non deve essere celebrata dai fedeli con minore letizia e solennità di quella della morte del santo.
         Nell’anno 1087 dell’Incarnazione e della nascita di nostro Signore, alcuni baresi, con tre navi, vollero partire verso Antiochia per motivi di commer-cio. Mentre navigano a vele spiegate sulle acque, i suddetti naviganti, come pervasi da divina ispirazione, cominciarono a parlare tra loro del rapimento di un così grande tesoro e dopo pochi giorni di navigazione favorevole giunsero a Myra. Bene armati, come se dovessero andare incontro a dei nemici, cominciarono a procedere. Ma giunti all’ingresso della chiesa, deposero le armi e umilmente entrarono nel sacro tempio, rivolgendo suppliche al Santo. Terminate le preghiere chiesero senza indugio dove fosse sepolto il santo corpo. Uno dei naviganti di nome Matteo, afferrato un martello, colpì la lastra marmorea e la infranse. Ne uscì un odore fragrante e dolcissimo e tutti i presenti furono pervasi da una gioia immensa. Inoltre lo stesso giovane, immergendo la mano, rinvenne quel tesoro prezioso che cercava con ineffabile desiderio e afferratolo coraggiosamente, lo trasse fuori con celerità. Estratte le altre parti del corpo alla rinfusa e con coraggio, si accorse che mancava ancora la testa. Si calò allora dentro la tomba per cercarla e trovatala, ne uscì. Era il 20 Aprile.
         Avvolsero le ossa nella tunica di uno dei due presbiteri che erano con loro. Salirono dunque sulla nave e, avvolte le ossa in un altro panno, candido e nuovo, le deposero in una piccola urna di legno e pieni di letizia salparono velocemente e cominciarono a remare con lena. Dopo pochi giorni approdarono al porto di san Giorgio, luogo che non dista più di cinque miglia dalle mura di Bari. Intanto inviarono innanzi alcuni di loro, come messaggeri, al clero e al popolo di Bari. Alla notizia, immediatamente per tutta la città si diffuse una gioia inusitata e straordinaria; e tutti, rimosso ogni indugio, donne e uomini di tutte le età e perfino i malati, si radunarono presso il lido.
         I naviganti affidarono ad Elia, abate del cenobio di san Benedetto, l’urna contenente le sacre reliquie, ed egli, ricevendola, la depose nella chiesa del convento il 9 maggio e la custodì con cura ed attenzione per tre giorni e tre notti, con i suoi confratelli. L’urna fu poi tolta di là e condotta in quella che è chiamata “corte del Catapano”.
         Chi conosce i disegni del Signore? O chi mai fu suo consigliere? Noi possiamo con certezza asserire che la Provvidenza volle che fosse trasferito dall’Asia fino a Bari questo dono graditissimo e prezioso, per la salvezza degli Italiani, anzi, di tutta l’Europa.