Il prefetto Ablavio fa condannare Nepoziano, Urso ed Erpilio

Il particolare che ad intercedere per il governatore siano i tre ufficiali, permette all'agiografo di «cucire» a questo il secondo episodio, quello che più propriamente merita l'appellativo di Praxis de stratelatis.
 
I generali, continua l'anonimo biografo, dopo aver banchettato insieme al santissimo vescovo, gli chiesero di dire una preghiera per loro.  Avendo ricevuto la sua benedizione ed essendosi accomiatati da lui, partirono da quel luogo.  Giunsero in Frigia e pacificarono quella contrada, togliendo di mezzo tutti i ribelli e gli istigatori di sedizioni.  Così, avendo salvaguardato la pace in favore della patria, tornarono alla felicissima Costantinopoli.  Tutti andarono loro incontro, soldati, opliti, e cittadini comuni, portando loro premi e trofei di vittoria.  Prostratisi ai piedi dell’imperatore, gli annunziarono che in quei luoghi era tornata la pace.  Allora, anche nel palazzo, furono magnificamente onorati.
 
Quasi seguendo i canoni di una rappresentazione teatrale, con questo brano avviene dunque il passaggio alla praxis dei tre generali.  Mentre il primo episodio aveva Mira come luogo dell'azione, ora gli avvenimenti si svolgono a Costantinopoli.  Protagonisti non sono più anonimi innocenti, gente del popolo, ma addirittura alcuni personaggi di primo piano della vita costantinopolitana dell'epoca, non molto noti ai comuni testi di storia, ma ben documentati in scritti del tempo.  A parte l'istigazione del diavolo, luogo comune dei testi agiografici, l'autore è più che attendibile quando descrive la situazione che si venne a creare successivamente, anche se non precisa l'epoca in cui gli avvenimenti presero questa piega sfavorevole ai tre generali che avevano conosciuto S. Nicola.
Protagonista ed eminenza grigia dell’impero diviene ora il già menzionato Ablavio, potente prefetto del pretorio e destinatario della lettera di cui sopra. Un intervento, il suo, dettato sia dal timore di venire scavalcato in potere dallo stesso Nepoziano sia dal guadagno derivante dagli avversari di Nepoziano. .
 
Ma chi era veramente questo protagonista della vicenda nicolaiana ?  Vicario per l'Italia nel 315 e pagano, Ablavio si era convertito al cristianesimo continuando la sua carriera politica e divenendo ministro favorito di Costantino.  Nel 331 fu console insieme ad Annio Basso, ma fu soprattutto come prefetto del pretorio che divenne onnipotente consigliere di Costantino.  In questa veste cercò di eliminare tutti coloro che a corte avevano qualche influsso su Costantino, come ad esempio il filosofo Sopatro. Abile nel cogliere l’occasione propizia, approfittò di un passo falso di questo filosofo, che imprudentemente aveva affermato che l’imperatore non aveva alcuna possibilità di purificarsi dopo l’uccisione del figlio Crispo. Appena si verificò una carestia a Costantinopoli, Ablavio sparse la voce che essa era stata causata da un atto di magia di Sopatro e convinse l'imperatore a farlo mettere a morte.
                                                
In mezzo a tante voci che vedono Ablavio in una luce sinistra fa eccezione quella di Atanasio che lo ebbe a protettore nel 332 quando fu convocato a corte e dovette fronteggiare gli intrighi dei Meleziani.  Secondo lui, Ablavio era un vero timorato di Dio, ma probabilmente Atanasio diceva questo solo perché era dalla sua parte nella faccenda che lo opponeva ai Meleziani.
Ablavio fu prefetto del pretorio dal 329 al 337, quando fu deposto. La morte di Sopatro, che presenta più punti in comune con la situazione creatasi con Nepoziano, dovette avvenire tra il 330 e il 332, periodo che possiamo ritenere più probabile anche per l'azione narrata nella Praxis de stratelatis.
Anche Flavio Popilio Nepoziano, l'amico di S. Nicola e vincitore dei Taifali, era un uomo di grande potere, nonostante la sua età (tra i trenta e i quaranta anni).  Era figlio di quel Popilio Virio Nepoziano, console nel 301, che aveva sposato verso il 314 Eutropia, sorellastra di Costantino, dandosi, come risulta anche dalla Praxis de stratelatis, alla vita militare.  E’ comprensibile allora come questo generale, che era tornato vincitore ed era nipote dell'imperatore, in poco tempo incrementasse il suo prestigio e il suo potere, come è altrettanto comprensibile che ciò provocasse l'invidia di altri uomini di potere, i quali ricorsero perciò ad Ablavio, l'uomo forte del momento. Questi, non potendo prendere provvedimenti autonomamente contro un membro della famiglia imperiale, agì come «consigliere disinteressato» di Costantino:
 
    «Sire, imperatore, poiché governi l'impero piamente e cristianamente, e poiché il mondo intero vive in pace sotto il tuo comando, il diavolo ha provato invidia per tanto bene ed ha suscitato contro di noi dei nemici in casa.  Egli infatti è penetrato nel cuore dei generali che sono andati e tornati dalla Frigia.  Essi dunque tramano un complotto contro il tuo potere, per insorgere contro il tuo pacifico regno.  Hanno trovato altri con cui si sono accordati, ricorrendo a promesse e favorendo avanzamenti di cariche, elargizioni e abbondanza di ricchezze. Dunque il diavolo, instancabile nemico della nostra pace, usando questi suoi servi, si dà da fare per portare a compimento queste insidie.  Ma Dio, amante degli uomini, Signore del tuo pio regno, e che ha cura del genere umano, non ha voluto che il complotto rimanesse a covare per molto tempo e ha messo nel cuore di alcuni che ne hanno avuto sentore l’idea di venire ad informarmi e a confidarmi tutta la faccenda.
 
L'imperatore, nell'apprendere che gli avvenimenti avevano preso quella piega, dato che si fidava ciecamente del suo consigliere, non dubitò della veridicità dell'informazione.  Così, senza procedere ad indagini di verifica, ordinò subito che i tre generali fossero gettati in prigione.  Lo scrittore cerca di scusare l'imperatore che era «occupato in cose urgenti», ma poi vede questa ingiustizia alla luce dei disegni divini.
     Dopo qualche tempo, non ben precisato, alcuni amici di Nepoziano e compagni cominciarono a darsi da fare per liberarli.  Allora i magnati che avevano messo in mezzo Ablavio si decisero a muovere un altro attacco contro i loro colleghi e nemici. Questa volta tornarono da Ablavio col denaro promesso, e gli prospettarono i pericoli derivanti da un'eventuale liberazione di Nepoziano, Urso ed Erpilio.  Il prefetto allora, recatosi al palazzo e chiesta udienza a Costantino, riprese il discorso dei tre prigionieri, facendo notare all'imperatore che quelli, pur stando in carcere, riuscivano a continuare l'organizzazione del complotto, avendo molti amici fuori del carcere.  L'imperatore, ad evitare di perdere del tempo prezioso, decise di sopprimerli quella notte stessa.  Così Ablavio diede le necessarie disposizioni affinché a notte inoltrata e comunque prima dell'alba i tre fossero uccisi.