La dote alle fanciulle povere

Alcuni scrittori sacri, dopo aver raccontato gli anni dell'infanzia e prima di riferire l'unico episodio antecedente all'episcopato, affermano che Nicola restò orfano e che ereditò una notevole ricchezza.  In epoca più tarda si disse che la morte dei genitori avvenne durante una pestilenza, in occasione della quale si erano messi ad aiutare quelli che ne erano stati colpiti.  Ma questa è soltanto una pia tradizione, senza il benché minimo fondamento storico. Mentre più che probabile appare l'altra affermazione, secondo la quale Nicola ereditò una grande somma, sia per la concordia delle fonti al riguardo, sia per lo sviluppo successivo dei fatti.
 
      Quando i suoi genitori si dipartirono da questa terra per tornare al Signore gli lasciarono molti beni sia in oro che in proprietà.  Pensando nel suo animo di avere Dio come Padre, si rivolgeva a Lui con gli occhi della mente e dell'anima.  Invocava fermamente la sua bontà affinché potesse disporre della sua vita e dei suoi beni secondo il Suo volere.  Diceva: «Insegnami a fare la tua volontà, poiché il Dio mio sei Tu».  Ed anche: «Indicami,  o Signore, la via da seguire, poiché a Te ho innalzato l'anima mia, e tienimi lontano da ogni avarizia e mondana ambizione».  Ricordava infatti, come penso, ciò che il Signore aveva detto espressamente tramite il profeta Davide: «Se vengono le ricchezze, non vi attaccate il cuore», o anche Salomone che nei detti chiaramente insegna: «Misericordia e fede non devi mai staccare da te, lègale al tuo collo e troverai la grazia», e ancora «L'uomo misericordioso fa bene alla sua anima e i bisognosi trovano un sostegno per la loro vita» .
 
      Nel quadro  di questa caratterizzazione di Nicola, come di un giovane attivo nella carità verso il prossimo, la tradizione ci ha fatto pervenire notizia di un episodio concreto di cui fu protagonista.  Il racconto in questione, a differenza della Praxis de stratelatis, non è corroborato da testimonianze esterne, né ci è pervenuto qualche frammento del testo originale che certamente doveva far parte dell'antica Vita del Santo del IV-V secolo.  La sua storicità, almeno nelle sue linee essenziali, è comunque garantita dalla varietà delle antiche tradizioni pervenuteci.  La Praxis de tribus filiabus ci è giunta, infatti, in tre principali versioni, quella bizantina (di Michele Archimandrita, VIII secolo), quella sinaitica (di Anonimo, probabilmente fra il VI e I'VIII secolo) e quella etiopica (nel Sinassario, probabilmente X-XIII secolo).  La narrazione più  estesa e più nota (oltre che più retorica) è la prima.  Tuttavia, qui sembra opportuno seguire proprio questa, anche se tale scelta non implica in alcun modo una preferenza sulla versione sinaitica.  La storicità verte infatti solo sulla sostanza del racconto.  Resta del tutto discutibile ad esempio il numero delle fanciulle in questione, se tre (come vuole Michele), due (come vuole il manoscritto sinaitico), o addirittura quattro (come vuole l'etiopico).
 
      Quel che c’è di comune alle tre tradizioni è il contesto e la modalità dell’azione di Nicola, che certamente a quel tempo era già cristiano, ammesso che non lo sia stato sin dalla nascita. Il contesto è quello di un padre che da una certa agiatezza era caduto in estrema miseria. Avendo alcune figlie in età da marito, venendo esse non considerate e quindi emarginate per la povertà in cui era caduta la famiglia, pensò di risolvere il problema facendole prostituire. Nicola venne a sapere di questo dramma familiare e decise di intervenire secondo la modalità suggerita nel Vangelo.
 Egli rammentava infatti la parola del Signore che, a proposito dell'elemosina, aveva sottolineato l'importanza del non attendersi gratitudine su questa terra e di non cercare la gratifica psicologica nell'essere ammirati. Ecco il relativo brano del Vangelo: «Quando dunque fai l’elemosina, non suonar la tromba avanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle piazze, per essere onorati dagli uomini.  Vi dico in verità che costoro hanno gia ricevuto la loro ricompensa.  Quando tu fai l'elemosina invece, non sappia la tua sinistra quel che fa la tua destra, in modo che la tua elemosina resti segreta, e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Matteo, VI, 2-4). Michele Archimandrita racconta:
 
   Senza recarsi da lui e senza fermarsi a soppesare la quantità del dono o le parole di conforto, deciso a liberare quello dalla turpitudine e allo stesso tempo a non suonare la tromba sulla sua elemosina, agendo con cautela, raccolse in un panno una somma sufficiente in monete d'oro, di nascosto la gettò attraverso la finestra nella casa di quell’uomo, e in fretta tornò a casa sua.  Come si fece giorno, l'uomo, levatosi dal letto, trovò in mezzo alla casa il gruzzolo di denaro e, con le lacrime che non poteva trattenere, preso dalla gioia, stupito e sbalordito, rese grazie a Dio.  Intanto cercava di capire da dove gli potesse essere venuto tanto bene.  Accogliendo poi questo dono come se gli fosse stato dato da Dio, il padre delle fanciulle prese l'oro insperatamente trovato e notò che la somma corrispondeva alla quantità di denaro sufficiente per una dote.  Senza frapporre indugi adornò la stanza nuziale della figlia maggiore.  Ebbe così una vita onesta accompagnata da gioia e serenità d'animo, grazie all'intervento di S. Nicola che aveva permesso alla figlia di sposarsi.
     Venuto a conoscenza di ciò, l'uomo di Dio e magnanimo operatore di elemosine Nicola, considerando che la sua beneficenza era sfociata in un'opera bella e salutare, al termine dei festeggiamenti nuziali, che scaldarono l'atmosfera di nuova gioia, nuovamente dalla stessa finestra gettò una simile quantità di denaro, ed in fretta tornò a casa sua.
    Il padre delle fanciulle, svegliandosi ed alzandosi al mattino, nel prendere il nuovo insperato dono di denaro si gettò con la faccia a terra e con gemiti rivolse a Dio azioni di grazie.  Quasi non era in grado di aprire la bocca per l'arrivo di questa nuova beneficenza.  Commosso, si rivolgeva a Dio con parole che si formavano nella sua mente, con voci interiori e suppliche sincere: «Indicami, o Signore, quell'angelo buono che tu tra gli uomini hai designato per noi.  Indicami chi ci ha preparato questo banchetto ricco di saporiti condimenti, e chi è che somministra a noi umili le ricchezze della tua immensa bontà.  Grazie a lui ci hai liberati, al di là di ogni speranza, dalla morte spirituale del peccato e dalla miseria che ci aveva avvolti.  Ecco che per il tuo ineffabile dono farò sposare legittimamente anche la mia seconda figlia, liberandomi da quella turpe disperazione in cui ampiamente ero caduto.  Glorifico il tuo santissimo nome e magnifico la tua bontà senza fine nei confronti nostri che siamo indegni.
    Avendo condotto al matrimonio come la prima anche la seconda figlia, il padre, che aveva fruito dei doni che Dio gli aveva inviato tramite il suo servo Nicola, trascorse in veglia le notti seguenti, rimanendo sobrio e attento.  Egli sperava che lo sconosciuto avrebbe portato la dote anche alla terza figlia, poiché aveva portato il dono alle altre sorelle senza lasciarsi riconoscere.  Sarebbe stato attento perciò a che quello non venisse mentre egli per negligenza stava dormendo.
    Mentre l'uomo trascorreva assiduamente e con sforzo quelle notti insonni, Nicola, l'adoratore della Trinità e servo di uno della S. Trinità, Cristo, vero Dio nostro, sopraggiunse a notte inoltrata nel solito luogo.  Desiderava infatti che anche la terza figlia, come le altre sorelle potesse sposarsi col medesimo decoro.  Gettando dalla finestra un'eguale somma di denaro, di nascosto e silenziosamente si voltò per andarsene.  Ma il padre delle fanciulle, che aveva atteso il ritorno del nostro Santo, appena fu gettato l'oro, si precipitò fuori e subito lo raggiunse, ed avendolo riconosciuto, gli si gettò ai piedi e prostrato scoppiò in lacrime e singhiozzi.  Poi ringraziandolo calorosamente, con molti argomenti lo chiamava, dopo Dio, salvatore suo e delle tre figlie.  Diceva: «Se non fosse stato per la tua bontà, suscitata dal nostro comune Signore Gesù Cristo, già da tempo le avrei consegnate ad una vita di perdizione e di vergogna”. Udito ciò S. Nicola fece rialzare l’uomo da terra e l’obbligò a giurare di non rivelare a nessuno fino al termine della sua vita che era stato lui a fargli avere quei beni. Quindi lasciò che l’uomo se ne andasse in pace.
 
Il racconto del primo biografo si presenta con tutte le caratteristiche della storicità, ad eccezione di qualche particolare. Mancano i nomi sia del padre che delle fanciulle, tuttavia non si tratta di un miracolo, e l’episodio presenta una notevole verosomiglianza. Infatti, non è superfluo ricordare che l’autore riporta una tradizione mirese e che in questa stessa tradizione l’usanza di offrire la dote alle fanciulle povere non era nuova in Licia. Si ha il caso di Opramoas, che un secolo e mezzo prima di Nicola, aveva compiuto a Rodiapoli, non lontano da Mira, un’azione analoga.
Che il racconto abbia un nucleo storico e non sia il parto della fantasia dello scrittore è dimostrato dal fatto che di esso ci è pervenuta una versione chiaramente indipendente dalla sua. Questa seconda versione che si trova in un codice greco del monte Sinai, è inserita nella vita di Nicola di Sion. Tuttavia non trovandosi negli altri codici della Vita di questo monaco è facile concludere che si tratta di un inserimento indebito (voluto o casuale).  Il narratore sinaitico, lontano dalla tradizione agiografica dell'Asia Minore, ha attinto da una fonte diversa da quella di Michele.  La diversità è tale da rendere impossibile supporre che l'episodio possa essere di origine relativamente recente (VII-VIII secolo).  Se l'episodio infatti fosse sorto in un periodo recente non ci sarebbe stato il tempo sufficiente per alterare a tal punto i dati nell'una o nell'altra versione.  L'alterazione (che sia della fonte da cui ha preso Michele o della fonte del narratore sinaitico) sembra un argomento a favore dell'antichità (V-VI sec.) e quindi della storicità sostanziale del fatto narrato.  Per meglio rendersi conto di questo discorso a favore della storicità del racconto (ed anche perché non è impossibile che la versione sinaitica sia più vicina alla realtà dei fatti) è opportuno riportare anche questa seconda versione:
 
Sulle due  fanciulle. 
    In quella città c'era un uomo che era oppresso da una grande povertà e riusciva a tirare avanti grazie ai prestiti di qualche vicino.  Aveva quest'uomo due figlie.  Colui che porta le anime alla rovina, il diavolo, lo sobillò contro la propria discendenza suggerendogli di darle alla prostituzione.  Egli pianse dal dolore, considerando la cosa vergognosa, tuttavia, pressato dall'estremo bisogno, si dicise ad attuare il proposito.  Il giovane Nicola, addormentatosi, una notte vide in sogno un angelo in bianche vesti, il quale spingendo innanzi le due fanciulle e il loro padre, gli rivolse la parola dicendo: «Nicola, la responsabilità della rovina di queste tre anime ricadrà su di te, se tu non darai ad essi l'oro che si trova nella tua casa». Svegliatosi, si ricordò della visione.  Era stato infatti il consiglio di Dio che provvede al bene di tutti.  E così, avendo atteso il momento in cui sapeva che i genitori sarebbero stati fuori casa, di nascosto entrò nella stanza ov'era lo scrigno dell'oro e sottrasse una somma.  Quando venne la sera andò e di nascosto, attraverso una finestrina, gettò il danaro sulla tavola ove il povero uomo era solito mangiare.  Alla vista dell'oro, quello disse: «Oggi è giunta per me una grande salvezza.  Il nemico non gioirà della rovina delle mie figlie, poiché non le farò unire peccaminosamente, ma le farò legittimamente sposare».  E fece sposare la figlia maggiore.  La notte seguente Nicola agì nuovamente allo stesso modo, dandogli altre 50 monete.  Avendole prese, quello fece sposare anche la figlia minore, ringraziando Dio e colui che aveva praticato la carità cristiana nei suoi confronti.  Comportandosi così, il grande Nicola salvò delle anime che si erano trovate nelle più grandi ristrettezze.
 
Malgrado la concisione di questa versione sinaitica di «Tre figlie» e al di là di particolari di minore importanza, due differenze balzano agli occhi.  In questa versione le figlie sono due (e non tre) e Nicola non solo ha ancora i genitori ma è a loro che sottrae la somma per la dote delle due figlie.  Questo primo momento è addirittura più vivace che non nella versione di Michele, grazie all'espediente dell'angelo che lo mette di fronte alla responsabilità del peccato del padre e delle figlie.  Meno vivace è invece il finale, ove manca il tentativo di riconoscimento da parte del padre con la susseguente rincorsa.
 
Non deve fare difficoltà l'alternarsi dei termini di danaro, monete e oro, in quanto sembra assodato che si trattava di monete d'oro, in caso contrario difficilmente un gruzzolo di monete d'altro metallo sarebbero potute bastare ad un matrimonio.  Anzi, dato che l'iconografia ha, come simbolo dei tre gruzzoli, tre palle d'oro, non è superfluo ricordare che (almeno a giudicare dal linguaggio di Michele Archimandrita) doveva trattarsi di somme di denaro avvolte in un panno
Che molto di ciò che dice l'agiografo corrisponda alla verità storica è più che possibile.  Non si può negare tuttavia che la descrizione ci presenta un'immagine troppo perfetta e ideafizzata.  Tutti i vescovi di quel tempo e di cui ci sono giunte notizie diffuse e dirette, sono uomini di grandi virtù, ma non senza difetti.  S. Atanasio era caparbio ed intransigente, come pure S. Girolamo.  Cirillo d'Alessandria era sospettato di aver suggerito l'eliminazione fisica dei suoi avversari (fra cui l'assassinio, sui gradini di una chiesa, di Ippazia).  S. Gregorio di Nazianzo era continuamente indeciso sul da farsi.  S. Agostino era già adulto quando intraprese la strada della continenza.  Anzi, dove la storia è abbastanza documentata, ha sempre presentato i personaggi nella loro concretezza.  In tal senso, se da un lato ci troviamo di fronte ad un Nicola perfetto, che potrebbe ispirare le nostre azioni, dall'altro si rimane un po' delusi perché le virtù appaiono più vere solo nel contrasto coi difetti o almeno con qualche elemento terreno che ci presenta l'uomo così com'è veramente.
 
C'è un punto, tuttavia, ove Michele Archimandrita sembra rivelare un aspetto nuovo, là dove dice: Ecco dunque, ecco colui che Dio convertiva e rendeva docile a sé stesso, questo Egli promuoveva anche alla dignità pastorale, affinché rivestendo di autorità le opere giuste potesse bloccare e castigare coloro che volevano agire iniquamente, e potesse liberare coloro che pativano ingiustizie dagli empi e insidiosi nemici. Queste parole, anche se possono essere interpretate nel contesto del discorso precedente, hanno comunque una certa rispondenza nella realtà come si vedrà più avanti.