Omelia di S. Em. il Card. Fernando Filoni
MOLO SAN NICOLA, 8 MAGGIO 2012


Arrivo e presenza di San Ni­cola a Bari, tra noi. Che significa oggi per noi que­sta presenza?
Con suggestive tradizioni oggi Bari, e i fedeli venuti da tante parti, parteci­pano a questa bella celebrazione sul Molo di San Nicola. Storicamente e li­turgicamente ricordiamo l’arrivo delle reliquie del Santo a Bari e, come suc­cede per ogni persona attesa e amata al suo arrivo, anche noi gli rinnoviamo oggi il benvenuto. Anzi gli diamo le chiavi ideali di questa città per dirgli:
non solo sei benvenuto, ma questa è  casa tua, resta tra noi!
E, di fatto, qui per quella nota vicenda che portò i marinai baresi a traslare il corpo del Santo a Myra per dargli una nuova dimora, San Nicola vi ha preso dimora. Così, oggi, Bari è la città di San Nicola ed essendo ben amato, egli qui riceve ed accoglie non solo i devoti di questa Terra pugliese, ma anche quanti da tutte le parti del mondo, ed in par­ticolare dal mondo cristiano ortodosso, desiderano vederlo e pregarlo.
Anche a tutti i pellegrini, dunque, è lui, San Nicola, che oggi dà il benve­nuto e li ospita nella sua casa. Mi pare molto bello che chi è venuto un tempo ospite, oggi a sua volta ospiti i pelle­grini che vengono da lontano; non per gioco di parole, ma invertendo le par­ti, San Nicola accoglie i pellegrini. Bisogna anche fare una costatazione: la presenza di San Nicola ha dato a questa Città un lustro singolare, di­rei, rifondante. Che cosa sarebbe stata Bari senza San Nicola? Mi piace sot­tolineare questo stretto rapporto tra il nostro Santo e questa Città, sotto vari aspetti.
Sul piano storico, religioso ed eco­nomico, Bari ha assunto un ruolo fon­damentale nella vita di questa nostra Regione pugliese e nel meridione in generale, anche se oggi, a causa della crisi che attanaglia l’Italia e l’Europa in buona parte, anch’essa soffre per la disoccupazione, per le sacche di vio­lenze, per la crisi di valori umani e so­ciali, per l’ignoranza della fede. Una Città che, tuttavia, non ha perso la sua vocazione naturale e che può dare il proprio notevole contributo alla ri­presa della Puglia. E su questi aspet­ti vorrei dire che bisogna fare di più, senza pretendere che siano gli altri a doverlo fare. Non pensiamo che debba toccare solo allo Stato, o alla Regio­ne, o alla Provincia, o al Comune, o alla Chiesa. In campo economico, poi, non è solo compito dell’imprenditoria, o dei sindacati, o dei commercianti.
Nemmeno solo dell’associazionismo.
Credo che tutte queste realtà abbiano energie, capacità, intelligenza, inven­tiva. Tutte hanno bisogno di lavorare e di apportare il proprio contributo. Non si esce, infatti, dalla crisi che colpi­sce gravemente famiglie, scuola e tutti gli strati più vulnerabili della società pensando che tocca all’altro. C’è una mentalità da rivoluzionare e c’è biso­gno di cooperazione.
Mi piace poi che questa Città, anche per via della presenza del nostro Santo Patrono, si collochi al centro della vita della Chiesa in un assai delicato e im­portante campo ecclesiale: l’ecume­nismo. Qui a Bari vengono moltissimi pellegrini ortodossi, ben accolti, per pregare o celebrare la propria divina Liturgia sulla tomba del Santo. Qui essi, dicevo, trovano non soltanto una semplice ospitalità fatta di tolleran­za, ma quasi un’atmosfera familiare, come di casa; si dà così un concreto esempio di come sia possibile recu­perare rapporti che per secoli erano rimasti interrotti e come si possa guar­dare al futuro nel senso della piena comunione di fede. La presenza, poi, in questa città di un Istituto teologico ha coinvolto l’intera Regione nella vo­cazione ecumenica, ben sapendo che fino a non molti secoli fa, buona parte del meridione d’Italia ed in particola­re la Puglia condividevano la lingua e il culto con i Fratelli oggi separati. Potremmo, quasi di sfuggita, ricordare il nostro conterraneo del XV secolo, il Galateo Antonio de Ferraris che grida­va: “Graeci sumus et hoc nobis gloriae accedit!” (Siamo di cultura greca e questo è per noi motivo di gloria!).
Nell’Anno della Fede, vorrei ora ri­chiamare alcuni aspetti che ci lega­no al nostro Patrono e che toccano la nostra o meglio dire la mia relazione proprio con la fede e con la Chiesa. Voi sapete che il Papa Francesco ama al mattino celebrare in una cappella dove partecipano alla messa vari fe­deli. In questi giorni sta parlando pro­prio della fede. Che cosa dice? Vorrei qui riprendere alcune sue significati­ve, semplici ed efficaci espressioni. La fede non è una bacchetta magica (12 aprile), non è tristezza, la fede non è paura, nemmeno è un trucca­re la vita o farne un maquillage (13 aprile), la fede non è una babysitter come per bambini (17.4), la fede non è un’ideologia e nemmeno una que­stione dell’intelletto: gli ideologi - commentava - falsificano il Vangelo, tolgono il talento, diventano eticisti, senza bontà (19 aprile). La fede non è avere buon senso (20 aprile).
Che cos’è allora la fede, mi riferisco a quella vissuta come cristiano, e predi­cata come Vescovo da San Nicola?
Per rispondere a questo interroga­tivo, uso ancora alcune espressioni del Papa Francesco: la fede non è un dio diffuso, un dio-spray che è un po’ dappertutto, ma non si sa cosa sia (18 aprile). La fede è una Persona, Gesù (18 aprile), che è vissuto tra noi, ha avuto una famiglia concreta, ha rive­lato nel suo insegnamento il volto di Dio, ha condiviso le nostre fragilità umane, ha incoraggiato, ha aiutato, ha sofferto, è morto per noi ed è risorto. La fede mi rivela un Dio che è comu­nione di Persone: Padre, Figlio e Spi­rito Santo. Questa fede che riconosco anzitutto dono di Dio, che passa attra­verso la fede della Chiesa, quella alla quale appunto aderì San Nicola, e che noi abbiamo ricevuto dai nostri nonni e dai nostri genitori.
Ma si tratta di una fede, non solo nel senso dell’adesione, ma soprattutto nel senso che implica la mia vita e conseguentemente diviene un’espe­rienza coinvolgente. Cosicché io, pic­cola realtà, peccatore, intelligente ma superbo, meschino, eppure capace di amare, egoista e qualche volta altrui­sta, ecc. mi lascio coinvolgere in que­sta esperienza dall’amore di Dio, dalla sua infinita misericordia e riformulo la mia vita. Il perdono, ricevuto e dato, è il più alto grado di coinvolgimento: davanti a Dio, quindi, non ci sono, ad esempio, peccati che non possano es­sere perdonati, eccetto il rifiuto della misericordia di Dio. Non c’è impos­sibilità a riformulare la mia vita. Con questa esperienza mi è possibile quin­di camminare con coraggio, e non ave‑
re paura (13 aprile), dice il Papa Fran­cesco riprendendo il grido del Beato Giovanni Paolo II fin dal primo giorno del suo pontificato. È possibile entrare nella vita come Dio vuole e permette (13 aprile), è dignità umana perché accetto e mi riconosco figlio di Dio, è speranza perché Cristo è risorto per me, è fiducia per l’assicurazione che il Signore mi dà, è essere mite ed ave­re tenerezza, come ancora dice il Papa Francesco: tutte virtù che mi vengono restituite dal Cristo risorto (10 aprile). Con queste espressioni vorrei conclu­dere le mie parole, portando a tutti il mio più vivo incoraggiamento per vi­vere in pienezza questo Anno della Fede e chiedere per voi la benedizione di Dio e di San Nicola, Vescovo e Pa­dre della Chiesa. Buona festa, Bari!
 

 
Omelia di S. Em. il Card. Fernando Filoni
FESTA DELLA TRASLAZIONE DELLE RELIQUIE
BASILICA SA NICOLA, 9 MAGGIO 2012


Nicola pastore del suo gregge e segno di riconciliazione
Quando il Vostro Arcivescovo S.E. Mons. Francesco Cacucci, al quale mi lega conterraneità, amicizia e fraterna stima, mi ha telefonato per invitarmi a presiedere queste celebrazioni nella festa della traslazione delle venerate spoglie di S. Nicola, fui alquanto sorpreso perché avesse pensato a me in questa circo­stanza. È vero che vari legami, come ho detto prima, ci uniscono, ma non vedevo una motivazione particolare. Forse non era necessaria, a parte il fat­to della fraternità sacerdotale ed epi­scopale che ci lega profondamente al servizio di Cristo e della Sua Chiesa. Grazie, Eccellenza, e con Lei ringrazio tutto il Presbiterio per questo invito, e tutti i fratelli e sorelle nella fede per la possibilità di pregare e celebrare con voi San Nicola.
Che la città di Bari in modo speciale, ed in generale la nostra popolazione pugliese, siano assai legate a San Ni­cola lo sappiamo bene. È un legame storico. Ma è soprattutto un legame spirituale vivo e di ammirazione per un Padre della Chiesa che al suo tem­po lasciò un solco profondo tra le pri­me popolazioni cristiane della Lycia. Poi il suo culto si diffuse non solo sulle rive del Mediterraneo orientale, ma anche in tutta l’Europa, sia a Nord, come a Sud.
Voi conoscete bene la vita e gli aned­doti che sono fioriti attorno alla vita e alla devozione di San Nicola. Vissuto sulla soglia tra un impero romano le gato al paganesimo, ma al crepuscolo, e un impero romano che vedeva la fede in Cristo sempre più divulgata e rico­nosciuta anche politicamente. Infatti, la vita del nostro Santo si situa tra la seconda metà del III secolo e la pri­ma metà del IV secolo (260c. d.C. e 343 d.C.). Un’epoca tra persecuzioni e riconoscimento della libertà religiosa. Sappiamo che la vita e il ministero episcopale del nostro Santo si svolse in Lycia, quella regione ellenica al Sud dell’attuale Turchia, che era via e ponte tra il Vicino Oriente e l’Europa greco-romana, varie volte attraversata da San Paolo durante i viaggi della sua predicazione.
Lì riposava ed era universalmente ve­nerato quando, a seguito dell’invasio­ne musulmana le reliquie del Santo furono traslate e trasportate a Bari, l’8 maggio 1087. Oggi riposano in que­sta magnifica Basilica Pontificia a lui dedicata, fatte oggetto di venerazione dalla popolazione di questa città e dai fedeli di tutto il mondo, particolarmen­te dagli Ortodossi. Oltre 260 Comu­ni in Italia lo venerano come patrono principale o gli hanno dedicato luoghi di culto.
Che cos’è che, dopo oltre 16 secoli, rende il nostro Santo così noto e attua­le? Quali caratteristiche della sua vita ce lo rendono così vivo? Provo ad indi­viduarne qualcuna.
Direi innanzitutto il suo amore a Cri­sto, alla Chiesa e alla integrità della fede.
Certamente il suo essere stato Pastore che aveva cura del suo gregge e che, come direbbe oggi Papa Francesco, portava su di sé l’odore delle pecore. L’essere segno di riconciliazione, un ponte tra l’Oriente e l’Occidente, ripo­nendo al centro delle relazioni il mi­stero di Cristo e la Sua pietas.

L’amore a Cristo
C’è una bellissima espressione che io amo molto e che come Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazio­ne dei Popoli ricordo a tutti i Vescovi, in particolare ai nuovi nominati e di­pendenti dalla nostra Congregazione: “Niente anteporre all’amore di Cristo” (RB. 4,2). È una espressione che si rifà alla regola di San Benedetto e che tro­viamo ripetuta varie volte. Nell’educa­zione ai suoi monaci San Benedetto la ripeteva continuamente, questo è ciò che l’essere cristiano significa, non saper altro se non Gesù Cristo (cfr. 1 Cor. 2,2). Cristo non come filosofia, o come dicono alcuni, Cristo sì, ma non la Chiesa. Un Cristo che non fosse nel­la Chiesa, anzi che non sia il cuore e nel cuore della Chiesa, potrebbe dirsi uno dei tanti sapienti del mondo, ma non il Salvatore. Questo aspetto fon­damentale, ossia l’intima inscindibili­tà tra Cristo e la Chiesa, lo rilevava già Paolo VI, lo ribadiva Giovanni Pa­olo II, Benedetto XVI e recentemente lo ha riaffermato Papa Francesco, il giorno del suo onomastico, parlando ai Cardinali il 23 aprile scorso. Que­sta intima connessione tra Cristo e la Chiesa fu un aspetto caratteristico della fede di San Nicola, sia come Ve­scovo della Chiesa, sia come teologo del suo tempo e non mancò di difen­derlo con vigoria anche nella durissi­ma controversia ariana del suo tempo. Il Vescovo Nicola, dunque, uomo di Dio, sacerdote di Cristo, Vescovo in­tegerrimo della Chiesa.
Pastore del suo gregge
Se tra il Papa Francesco e i fedeli è scoppiato – per così dire – un amore a prima vista, io mi domando: perché? A mio parere, è per quell’immediata percezione che i fedeli hanno di lui in quanto buon pastore, con quel suo tratto profondamente umano e così
vicino da renderlo a tutti familiare. Non si tratta di una “caratteristica” dell’attualità. Ma di un tratto quasi istintivo e permanente che si ritrova in lui da sempre, sia da sacerdote, sia da Vescovo a Buenos Aires, e ora da Pastore della Chiesa Universale. San Nicola aveva un tratto non dissimile che lo rendeva, agli occhi dei fedeli, un buon pastore, che ama e cura i suoi fedeli. Una cura che non si è esaurita nemmeno con la sua morte, né con il passare dei secoli, vista la gran vene­razione oggi ancora riservatagli.

Segno di riconciliazione
Qui la individuerei a vari livelli. C’è una riconciliazione sociale e politica. Sappiamo che le ideologie hanno di­viso e ancora dividono gli uomini in schieramenti. Sappiamo come - per stare agli ultimi decenni - nazismo, comunismo, laicismo, clericalismo, ecc., hanno diviso e contrapposto; sap­piamo come ancora in ambito sociale queste divisioni esistono: pensiamo ai tribalismi in alcuni continenti, alla di­visione tra bianchi e neri, o comunque alle discriminazioni razziali o castali, pensiamo alla divisione tra ricchi e poveri, tra uomo e donna (quanti fem­minicidi, come si usa chiamarli oggi, avvengono nella nostra società intolle­rante ed egoista), alle violenze contro l’infanzia, alle violenze contro il cre­ato, veri e propri scempi ecologici. E potrei continuare a fare l’elenco. Se manca un asse centrale, ogni settore si spacca. Questo centro è Dio. Se si esclude Dio dalla vita e Lo si toglie come riferimento nella società, allora non è possibile alcuna riconciliazione vera e profonda. Senza questo riferi­mento, la politica diventa di casta, la religione diventa autoreferenziale, la soggettività diventa diritto assoluto, le relazioni si trasformano in indifferen­za reciproca, il proprio punto di vista diventa esclusivista, peccati e scanda­li sono considerati solo quelli altrui. L’ipocrisia diventa imperante e la ve­rità non importa più a nessuno.

C’è poi una riconciliazione da portare nelle famiglie
Non c’è più perdono. Non c’è più il bene comune. Non c’è più donazione. Non c’è più sacrificio. Non c’è più rispetto come pietas filiale. I genitori si mettono in competizione tra loro, i figli reclamano solo diritti, gli anziani si mettono in ri­coveri, le famiglie si sfasciano.

C’è una riconciliazione da portare anche in sé, nella propria vita
Quando si è egoisti e individualisti, non si perdona né sé stessi, né gli al­tri, si perde la fiducia e la speranza, si entra in depressione, ci si chiude per punire l’altro, quando non si arriva al suicidio.
Bisogna rimettere Cristo al centro di noi stessi e con Lui l’amore e la mi­sericordia: “Essere cristiani vuol dire essere in Cristo, pensare come lui, agi­re come lui, amare come lui”, questo è quanto diceva Papa Francesco nell’U­dienza Generale di qualche settimana fa. Ed è ciò che metteva al centro della sua vita San Nicola, la cui presenza in mezzo a noi è stimolo di emulazione e di bene. Ricordiamolo come uomo di bene e di carità. Come cristiano for­te nelle persecuzioni, come Vescovo che non si tirò indietro quando dovet­te contestare un’iniqua sentenza del governatore che aveva condannato tre uomini ingiustamente.
Possa il nostro Santo con la sua inter­cessione presso Dio ottenerci quelle virtù che cambiano la nostra vita e ci stimolano ad essere onesti operato­ri di bene. Auguro a questa Città di poter continuare nella sua vocazione di bene, con la partecipazione di tutti. Amen.